Con il vento in faccia

Verso il Pian del Tivano e il muro di Sormano tra il verde dei boschi e le montagne innevate: cronaca di una bella pedalata domenicale

Fossimo nella trasmissione di Maurizio Crozza, potremmo farlo diventare uno dei «grandi misteri» di Kazzanger, uno dei suoi personaggi meglio riusciti: «Perché quando andiamo da sud a nord il vento ci soffia in faccia e quando torniamo da nord a sud il vento ci soffia in faccia nello stesso modo?».

Battute a parte, i miei amici a due ruote sanno fin troppo bene che il vento rappresenta una delle variabili più fastidiose quando si pedala. Anche perché bisogna pur sempre fare i conti con il codice della strada e non si può mica sempre andare a cercare la parte più coperta della carreggiata. L’unica speranza, ovviamente, è infilare un treno giusto e mettersi disciplinatamente in coda, al riparo dalle intemperie e lasciando il disbrigo della pratica al primo della fila. Domenica scorsa sono stato abbastanza fortunato mentre mi dirigevo verso il Pian del Tivano passando da Pusiano, Longone al Segrino, Canzo, Asso e Sormano. Fino ad Oggiono mi sono fatto tirare (dando il cambio con una certa regolarità, sia chiaro) da un gruppetto con le magliette di uno sponsor di Senago e, fino al laghetto di Longone, ho approfittato del «passaggio» dei ragazzi della Pro Patria triathlon di Milano, che tiravano di brutto.

Per il resto, naturalmente, ho dovuto fare da solo. La salita che da Asso porta a Sormano – non so a voi – è una di quelle che preferisco. Pendenze tutt’altro che esagerate (saremo intorno al dieci per cento), tornanti larghi, asfalto in buone condizioni, tanta compagnia a due ruote e la fama di quel muro tornato celebre grazie al Giro di Lombardia e che l’altro giorno – leggevo su La Provincia di Como – ha visto cimentarsi anche Davide Cassani. Sì, proprio lui, l’ex ciclista amico di Pantani (bellissimo il suo libro) che ora fa il commentatore in televisione e che è una delle poche ragioni serie per pagare il canone dell’emittente di Stato. Beh, divagazioni a parte, l’unica pecca è rappresentata dalla presenza di centinaia di motociclisti che vanno a manopole aperte. Li capisco, perché la strada e i curvoni invogliano il Valentino Rossi che c’è in ciascuno di noi ma hanno il maledetto vizio di considerarsi i padroni del vapore (lo so, dicono lo stesso di noi) e considerano i limiti di velocità alla stregua di un fastidioso optional, cui sorvolare. Perché – l’ho sentito con le mie orecchie - «mi sono divertito come un bambino in quelle curve». Noi, un po’ meno ma pazienza…

Il panorama, una volta raggiunto il pian Tivano a 1126 metri di altezza, è da togliere il fiato. Domenica il cielo era terso e le cime delle montagne – dalla Grigna innevata fino al Colle Brianza – quasi da cartolina. Il verde dei prati è il colore dominante. Ed è un bel colore se pensiamo agli alberi di trenta piani cui siamo abituati. Peccato, per l’appunto, per il vento (e la temperatura fin troppo frizzantina) che invoglia allo scollinamento nel più breve tempo possibile. Giusto il tempo di mangiare una mezza banana, bere una sorsata dalla borraccia (la si riempie qualche chilometro più sotto, ad una fontanella seminascosta nell’abitato di Sormano), infilare i manicotti e – perdonate la totale mancanza di umiltà – indossare il giubbottino antivento della Nove Colli con bene in evidenza la data del 19 maggio 2013. Un piccolo passo per l’umanità delle due ruote, un grande passo per un ciclista pippone.

Discesa a tutta, con la temperatura che sale ogni dieci metri di dislivello e che torna ragionevole in pochi chilometri. Il resto è una sana pedalata con rientro per l’ora di pranzo. Con le gambe perfettamente oliate, una media soddisfacente e una bella sensazione. Di essere stato, con la mia Bianchi, in un luogo dove mai sarei andato se avessi dovuto togliere l’auto dal garage e sorbirmi un’ora e mezza di code e tornanti.

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