Ho visto cose...il ritorno

Quando un giornalista termina il proprio articolo - ed è ovviamente insoddisfatto perché anche stavolta alla perfezione non si è neppure avvicinato - è solito chiedersi se, quello che ha messo nero su bianco, avrà un minimo di riscontro. Piacerà a qualcun altro, oltre che a mia moglie e mia madre?

Beh, stavolta pare proprio di sì. E se ve lo racconto non è certo per placare l’ego insoddisfatto ma, piuttosto, perchè i riscontri - via facebook, twitter e mail - sono stati molti. Più di quell che fosse lecito attendersi. L’idea del tormentone, insomma, vi garba. Vi chiedevo, nel post precedente intitolato «Ho visto cose che voi umani», di darmi una mano a continuare il racconto. L’avete fatto e mi sono ritrovato a pensare che le vostre emozioni erano esattamente le mie. Ed è buffo leggere cose che pensi e non hai scritto, se non nella tua testa. Merito del ciclismo, si capisce, di questo affascinante sport di fatica che regala sensazioni uniche ma, contemporaneamente, uguali per noi tutti. E, allora, vai di reloaded. Con un ringraziamento particolare a Sergio Agostoni, e Claudio De Nova del Triathlon Team Brianza di Lissone. Alcuni degli “ho visto” sono tutti loro...

Ho visto che la bicicletta ti apre i polmoni , ma soprattutto il cuore

Ho visto che la bicicletta ti fa amare la natura, anche se soltanto l’idea di mettere le mani ad una zappa ed andare nell’orto ti fa venire l’orticaria.

Ho visto che in bicicletta esiste un mondo diverso, anche se la stessa strada l’ho percorsa centinaia di volte, trovandola persino un po’ fastidiosa, con tutte quelle curve che ti obbligano a scalare le marce.

Ho visto che in bici non ci sono avversari, ma amici. E allora capisci perché, quando ne sorpassi uno, non ti sfiora neppure l’idea di fargli la linguaccia. Lo saluti e ti verrebbe voglia di dargli persino una spinta.

Ho visto che, in effetti, il triangolo del Lario è proprio così. Con il vento sempre contrario. Breva o Tivano che al mattino spira verso sud e poi, quando si arriva a Bellagio, guarda caso gira e spira verso nord, quasi gli piacesse sempre stamparsi sulla tua faccia.

Ho visto che senza vento contrario non sarebbe il nostro lago, perchè è come Geronimo. Ovvero inafferrabile.

Ho visto gente zuppa di sudore che procedeva a zig zag con le gambe ridotte a due tronchetti doloranti. Ma che, appena scesa dalla bici, spiegava convinto che la fatica fisica non esiste. E le gambe vanno dove la mente vuole.

Ho visto la Culmine di San Pietro, e non c’erano neppure le mucche al pascolo. Colpa del caldo, che ancora non arriva e anche i bovini hanno le loro belle pretese.

Ho visto la Valle Brembana, una volta scollinato, da Vedeseta fino a San Pellegrino Terme. Strada stretta in mezzo alla gola, con il Brembo rombante che ti scorre accanto e ti riempie di spruzzi. Chi l’ha inventato, beh, o era un genio o era un Dio.

Ho visto montagne verdi sen za neppure lo straccio di un supermercato. E se ai tempi di quella canzone era una patetica ovvietà, beh, adesso è quasi una notizia di giornale. Perché progresso, dicono, fa rima con cemento.

Ho visto un muratore bergamasco. Beh, bergamasco lo era di sicuro. Muratore non lo so, ma lo sospetto. Seduto su una sedia di paglia posata sul marciapiede, portava una di quelle introvabili e pesanti camicie a quadri (da noi si chiamano «scozzesi») che indossava il mio amico Emilio in inverno, quando stava sul ponteggio a dieci metri di altezza dopo aver sorseggiato una bella barbera con annesso panino e pancetta quadra. In estate, è noto, portava la canottiera e Bossi, ai suoi tempi, faceva ancora lo studente fuoricorso.

L’invito è sempre valido, la mail non cambia. Se volete contribuire [email protected]

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