I Ciclisti in garage

Chiude i battenti la «Ciclisti Monzesi», storica società di ciclismo che fu di Gianni Bugno e Mario Scirea. Colpa della mancanza di volontari. E non solo...

Ne avevamo parlato proprio nell’ultimo post. La fatica di pedalare ma anche quella di fare ciclismo, in un territorio dove domina la cultura dell’automobile e dove un ciclista travolto a Bologna alimenta per giorni infinite discussioni sui social network perché, insomma, questi qui passano con il rosso e credono che la strada sia loro e, a ben pensarci, in qualche modo c’entrano anche con la decadenza di Berlusconi e la fame nel mondo.

La notizia, comunque, è che la gloriosa Società dilettantistica Ciclisti Monzesi chiude i battenti, limitando la propria attività alla testimonianza e all’organizzazione di qualche evento. Ma di ragazzotti con la maglietta biancoverde non se ne incontreranno più. Il tentativo, che risale appena ad un anno fa, di mantenere in vita una squadra di esordienti o di allievi è miseramente naufragata. Mancano gli atleti e, ancor prima, mancano i volontari, coloro che sono disponibili a portarli alle gare ma, soprattutto, a scortarli mentre fanno allenamento sulle intasatissime squadre di casa nostra. Troppi pericoli, troppe responsabilità, troppi motivi che portano rapidamente al <chi ce lo fa fare?>.

Della Ciclisti Monzesi rimane ora un sito internet con le news vecchie di cinque anni, qualche immagine non perfettamente a fuoco e una infinita galleria dei ricordi. Come il “Criterium degli Assi” del 1953 che vide correre in piazza Trento e Trieste – davanti a diecimila persone – il neocampione del mondo Fausto Coppi, Gino Bartali e i monzesi Fiorenzo Magni e Giorgio Albani, giusto per citarle qualcuno. E poi Gianni Bugno e Mario Scirea, i due nomi da prima pagina che sono usciti da questa gloriosa società.

C’è un che di malinconico nel raccontare quest’ultima pedalata in una città che – lo scrivevo sul Cittadino di giovedì – avrebbe tutte le carte in regola per essere una capitale del ciclismo. E dei ciclisti. Oltre che dei motori e dell’automobilismo.

Due mondi che non sono affatto in concorrenza, ma che – paradossalmente – sono entrambi mal sopportati da una città che è cresciuta a dismisura, che soffre tutte le problematiche dell’invadente capoluogo e che ha una viabilità che sarebbe completamente da ripensare. Guardi certe code di via Cesare Battisti, il canocchiale del Parco e poi ascolti con un pizzico di invidia il sindaco di Londra lamentarsi del crescente numero di incidenti in cui incorrono i ciclisti e invocare misure più draconiane per un traffico privato che, rispetto a quello nostro, neppure esiste.

Ci faremo una ragione anche della scomparsa dei Ciclisti Monzesi, non c’è alcun dubbio. Il ciclismo, del resto, è uno sport che non morirà mai, per quante strade vorranno costruire, per quante pagine riempiranno di doping, per quanti ostacoli metteranno tra le ruote di chi vuole pedalare. Ma, per intanto, il giramento di pedivelle rimane.

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