Il cuore e le gambe

Quando la qualità della nostra vita si può misurare (anche) con la bicicletta

Il mio amico Stefano, che fa l’albergatore a Riccione, mi fa sapere di aver sfacchinato per 85 chilometri su e giù per i colli della Romagna, che non saranno come quelli bolognesi cantati da Cremonini in sella alla sua Vespa ma che – ve l’assicuro – sono pure meglio. Se voleva farmi schiattare d’invidia, beh, c’è riuscito in pieno visto che questa settimana, al massimo, ho sfacchinato in ufficio in una Monza con tanti (troppi) negozi vuoti e con tanta gente a vagare per le strade. Mi sono consolato con le immagini televisive della Coppa Agostoni di Lissone, che attraversa la mia terra e percorre le mie salite preferite. Vedendo certi rapportini e la fatica di quei ragazzi, lo dico a bassa voce, mi sono rinfrancato. Non devo essere proprio da buttare, se riesco anch’io – a mezza velocità, d’accordo – a percorrerle tutte.

Però non è la stessa cosa, lo ammetto. La scorsa settimana ero anch’io in terra di Romagna a farmi un bel tuffo rigenerante sui saliscendi di quella zona. Sarà che non soffro il caldo (mille volte meglio di certe pedalate al gelo dell’inverno), ma mi sono proprio divertito. Proprio con Stefano e qualche cliente scelto del suo Hotel Dory, ho fatto una bellissima escursione tra Gradara, Monte Luro, Tavullia, Pesaro per concludere con la “panoramica”, mitico percorso che porta dalla città marchigiana fino a Gabicce Monte, teatro – per gradire – della cronometro dell’ultimo giro d’Italia. E ogni volta, come se fosse la prima e non l’ultima di diciassette anni di fedeltà totale alla causa romagnola, mi ritrovo a godere di quei paesaggi che fanno a pugni con i luoghi comuni di certi tg, delle sue strade sgombre (ma anche lì Comune e Provincia devono essere al verde, a guardare dall’asfalto di certi tratti), dei castelli medioevali dei Malatesta che rispondono ai nomi eccentrici di Montegridolfo, Mondaino, Montescudo e via salendo. Guardi i filari di viti, i trattori che arano in salita (pure loro, poveretti) e poi pensi alle tremila automobili per chilometro quadrato che – statistiche importanti alla mano – ammorbano la nostra vita quotidiana nel cuore economico dell’Italia che lavora(va).

E capisci il fascino di quel piccolo mondo antico fatto di uomini riuniti sotto il tendone dell’unico bar del paesino per la partita a carte prima di cena, di nonnine che ti salutano con la mano mentre passi sotto il loro ballatoio e di ragazzotti che stanno in piazza ad armeggiare attorno al motore. Perché lì, se non vai in bicicletta devi per forza diventare matto per i destini di Valentino e company che non a caso arrivano tutti da lì.

Nostalgia canaglia delle vacanze ormai andate? Forse sì. O, magari, nostalgia canaglia di una qualità della vita che non si misura con le stelle del ristorante da Vip (che magari ti tocca pure prenotare sei mesi prima per scoprire che proprio quel giorno sei piegato dalla dissenteria) e neppure con il numero dei vestiti griffati stipati nell’armadio. Ma, più prosaicamente, con il numero dei chilometri percorsi. In bicicletta, naturalmente.

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