Il Muro del doping

Le pendenze bestiali di Sormano, il giro di Lombardia che torna e le (stucchevoli) polemiche sull’uso di sostanze proibite. Alimentate ad arte

Dicono che solo in amore non esistano regole. Ci permettiamo di dissentire, sia pure a bassa voce. Anche sul muro di Sormano, ciclisticamente parlando, vale tutto. Vale la spintarella – davvero benedetta – del tifoso troppo invadente e vale persino, senza vergogna, il piede staccato dalla pedivella e provvidenzialmente messo a terra, appena prima dell’inevitabile capottamento. Avevamo già parlato di questi due chilometri terribili che si trovano a Sormano, a due passi da qui, e che Baldini, molti anni fa, definì con efficece sintesi «semplicemente bestiale». Ma ci torniamo perché il muro sarà, per il secondo anno consecutivo, uno dei piatti forti del Giro di Lombardia, che celebrerà la sua 107edizione il prossimo 6 ottobre con partenza da Bergamo e arrivo, per il terzo anno di fila, sul lungolago di Lecco. Ci siamo già dilungati anche sul percorso (251 chilometri, e scusate il disturbo) e sulla bellezza di questo fantastico percorso, vero spot promozionale per una terra che i ciclisti – e chissà poi perché – fatica a sopportarli.

La decisione di riproporvi queste pillole mi è venuta scorrendo qualche fotografia d’annata, accostate alle immagini dello scorso anno. Certo, i mezzi sono cambiati. Le biciclette sono di carbonio anziché di ferro (forse l’alluminio non c’era ancora), i garretti dei ciclisti sono probabilmente più rodati (non foss’altro perché si comincia a correre nei deserti arabi in gennaio e non ci si ferma mai), l’asfalto è senza dubbio più confortevole anche se, con pendenze che superano il 22 per cento, non si tratta dell’aggetivo più adatto. Ma la fatica, quella che si legge sui volti e sulle schiene ingobbite dei corridori è sempre la stessa. Perché muro di Sormano significa, per l’appunto, una fatica bestiale.

E vale la pena di sottolineare che arriva, questo strappo, dopo aver già scollinato la Valcava, a quota 1.400 – terreno di caccia preferito dal vostro cronista e salita benedetta giust’appunto una settimana fa da Felice Gimondi – e prima di salire sul Ghisallo, che non è propriamente un cavalcavia per amanti del tempo libero a due ruote. Se poi vogliamo infilarci la ciliegina, basta ricordare che – prima della discesa verso Lecco – ci sarebbe anche il villa Vergano, una manciata di chilometri dove le pendenze arrivano tranquillamente al 18 per cento. Una coltellata nei garretti di chi ha già sfacchinato per 230 chilometri a 40 di media.

Ecco perché mi scappa da ridere – o da piangere, che poi è lo stesso come insegnano i comici – quando i miei colleghi giornalisti spendono le poche righe dedicate al ciclismo per parlare sempre e solo di doping. Intendiamoci, non so se l’americano Horner – vincitore a 41 anni suonati della Vuelta dopo una vita da gregario – è davvero pulito come lui sostiene. Ma va considerato tale fino a quando non sarà provato il contrario. Al di là di tutti i dubbi che, ragionevolmente, un’impresa di questo genere si porta dietro.

E invece, lo avrete letto, non era ancora sceso dal podio e già si favoleggiava sul controllo antidoping saltato, su una misteriosa fuga nella notte e, di questo passo, lo avrebbero accusato anche di essere il mostro di Firenze. Ci ha pensato la stessa agenzia antidoping a smontare tutto: aveva seguito la procedura, comunicando l’intenzione di cambiare albergo (in quali altri sport bisogna chiedere il permesso per raggiungere la moglie legittima per festeggiare una vittoria?) e non si era sottratto ad alcunchè. Brevina in pagina – e vivaddio che qualcuno l’ha inserita – e buonanotte al secchio.

Ci sarebbe stato da raccontare, piuttosto, di una Vuelta per cuori forti, con salite mozzafiato nella tormenta. Magari aggiungendo che il secondo posto di Vincenzino nostro (il Nibali) vale oro soprattutto in vista del Mondiale della prossima settimana a Firenze. Ma non fa audience, evidentemente. Fortunati che noi, una volta spenta la tivù o chiuso il giornale, possiamo salire in bicicletta e pedalare. Andando meno forte di Horner, certo. Ma, piano piano e lenti lenti, zigzagando con il cardio impazzito e sudando come lumache in calore, il muro di Sormano lo scaliamo anche noi. Tiè.

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