Il pedale della discordia

Il pedale della discordia

 

Non l’ho visto, ha detto il camionista della Repubblica Ceca che l’altro giorno ha travolto e ucciso un ragazzo di 19 anni in bicicletta a Monza. Non l’ho visto, ha detto – appena il giorno successivo – la ragazza che, al volante di un van, ha fatto volare in un fossato il vincitore del Tour de France e medaglia d’oro alle Olimpiadi a cronometro, Bradley Wiggins. Più fortunato, il campione. Si è rotto un paio di costole, è pieno di lividi e bruciature ma è potuto tornare a casa con le sue gambe.



Tra le due vicende,che si sono consumate a migliaia di chilometri di distanza, c’è un filo comune: la convivenza sempre più difficile e sempre più pericolosa tra chi viaggia sui pedali e chi è al volante di un’automobile o di un camion. Fanno bene, i residenti di San’Albino a protestare per quella che definiscono la rotonda della morte ma il problema non può essere ricondotto, e fors’anche sminuito, ad una rotatoria problematica. E lo stesso vale – ne sono sicuro – per la lontana Inghilterra, dove analoghi comitati di cittadini avranno sicuramente levato i loro strali.



E allora? Detto che ogni intervento in grado di migliorare la viabilità è il benvenuto, forse è il caso di interrogarsi su tutto il resto. A costo di fare della filosofia da quattro soldi e di cadere nel pozzo infinito dei luoghi comuni. Ricordare che la strada è di tutti, che un ciclista piazzato davanti al paraurti non è un impedimento ma il fruitore dello stesso servizio che stai utilizzando tu (la strada), che una bicicletta ha lo stesso diritto-dovere di scansare le buche dell’asfalto senza per questo finire sotto le ruote di chi la segue… Tutti esercizi di accademia spicciola, per l'appunto, ma che dovrebbero lentamente entrare nella testa delle persone. Ma, in attesa che questa consapevolezza tipica dei Paesi anglosassoni trasmigri a queste latitudini mediterranee dove il clacson sembra un’appendice neppure troppo metaforica della propria rabbia, bisognerebbe anche interrogarsi sul fatto che, forse, circolano troppe auto. Soprattutto sulle strade di questa parte della Lombardia, urbanizzata come e più di Napoli e trafficata assai più di Londra e New York. L’obiettivo, ambizioso ed ai limiti del miracolo, deve essere quello di ridurre il numero di auto che viaggiano su strade urbane che non siano di collegamento. Altrimenti, i continui appelli a viaggiare in bicicletta e gli incoraggiamenti esperimenti di bike sharing, diventano  vuoti esercizi verbali, qualità nella quale eccellono i politici di ogni latitudine. Sempre pronti a rilanciare un sottopasso o a promettere una ciclabile ma sempre più restii nell’ampliare le zone pedonali, forse nell’inconscio timore di non avere più auto da spremere a suon di multe e parcheggi a pagamento.
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