Passione e fanatismo

Passione e fanatismo

C’è davvero un confine tra passione sportiva e fanatismo? La domanda non è banale, neppure per noi ciclisti della domenica. Ne scriveva l’altro giorno il Corriere della Sera, prendendo come spunto l’insana passione di un gentleman inglese per il giardinaggio, hobby al quale dedicava dieci ore al giorno trasformandolo di conseguenza in un lavoro. Faticoso e senza soluzione di continuità, con l’ appagamento del proprio ego come unica ed aleatoria retribuzione. L’accostamento diventa inevitabile. Sfacchinare su e giù per le salite, macinare un centello di chilometri ad ogni uscita, sacrificare la gita fuoriporta per la pedalata domenicale… tutto questo rientra nella categoria dell’accanimento terapeutico? Non c’è e non può esserci un’unica risposta. Ciascuno se la deve trovare da sé. Qualche paletto, però, può starci. E a me è piaciuto molto quello di Matteo Marzotto – giovane industriale dal polpaccio pesante – che, sullo stesso giornale, spiegava come la prestazione talvolta sconfini nell’illusione di essere un atleta vero. Ecco, in quel momento l’hobby rischia di diventare fanatismo e bisogna fermarsi. In altre parole, ci si allena con tanta e tale intensità fino a perdere di vista la realtà. Ovvero il fatto che un ciclista della domenica non potrà mai essere un atleta a tutto tondo. Per questioni anagrafiche, per esempio. O per stile di vita. O per vizi alimentari. O per chissà quali altre ragioni. C’è chi pensa di risolvere il problema facendo la fortuna (economica) di farmacisti e medici disinvolti. Ma non basta buttarsi nello stomaco una manciata di pillole per trovare la felicità. La passione sportiva è quanto di più bello possa esserci ed avere la possibilità di esercitarla è un privilegio. Sarebbe un errore rovinarla per arrivare cinque minuti prima in cima ad una salita. Tanto sarebbero cinque minuti di pioggia, come disse Woody Allen in una celebre battuta.

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