Qui comincia l’avventura

D’accordo, vi sareste addormentati in tutta serenità anche senza saperlo. Eppure mi piace raccontarvelo lo stesso. La mia personalissima avventura alla Nove Colli di Cesenatico, la madre di tutte le Gran fondo di ciclismo, ė cominciata. A dire il vero, io sono di stanza a Riccione, che da Cesenatico dista trentacinque chilometri, in un hotel - il Dory del mio amico Stefano e pazienza se gli faccio un po’ di sana pubblicità gratuita - che non ė un hotel ma un covo di irriducibili della bicicletta. Qui si mangia pane e copertoni. Anzi, piadina e copertoni e chi non riesce a mettere in fila le dieci salite più belle del pianeta, beh, cambi indirizzo per favore.

Morale della favola, nel pomeriggio sono salito in sella alla mia Bianchi d’ordinanza, diretto verso lo stadio di Cesenatico per il ritiro del pettorale di partenza. Ho scelto di fare il lungomare per ammortizzare la noia della pianura che più pianura non si può. Rimini, Bellaria, Igea Marina. E poi Gatteo Mare e Cesenatico. Gi alberghi sono quasi tutti aperti, vista la stagione alle porte. Compreso l’hotel La Morosa che ha attirato la mia curiosità e che, per fugare ogni dubbio, specificava con una domanda maliziosa:” Scommetti che ti innamori?”. Non male, oggettivamente, anche se un po’ facile. Basta certa filmografia intramontabile per capirlo. A queste latitudini, infatti, il concetto di innamoramento è un po’ flessibile, come certi lavori delle nostre parti. Può cominciare la sera e finire il mattino successivo, per capirci. E nel mare magnum dell’affollatissimo agosto, è fin troppo facile perdere la scommessa.

A distrarmi dal pensiero ci ha pensato un occasionale compagno di viaggio, che pedalava il giusto per farsi succhiare la ruota. Sulla maglia bianca e verde il nome della società: Mtb allunadagengo. Sarà che non sono particolarmente sveglio ma ci ho messo qualche chilometro per capire c’è, in realtà quella fantomatica società sportiva non esisteva e che il nome andava letto come grammatica comanda. Ovvero all’una da Gengo, dove costui - presumibilmente - era un bar (ma anche no) che si prestava ad abituale punto di ritrovo. Fantasia romagnola, insomma. Etra un’occhiata alla ruota panoramica di Rimini - chissà perchè chiamandola London eye perde subito quella sinistra fama di tarmarrata italica - e un’altra alle spiagge tirate a lucido che i prati inglesi ci fanno una pippa, eccomi allo stadio. Un villaggio della bicicletta, e si capisce subito perchè ci sono tredicimila posti e trentamila richiese. Un esempio: per ritirare il mio 2731 ci ho impiegato un minuto e mezzo scarso. Roba che in posta ,e per molto meno, ti va via una mezza giornata di contumelie assortite. C’è scappato pure il tempo di un bel giro tra gli stand e per scambiare qualche chiacchiera con altri ciclisti della domenica.

Già, domenica... Sembrava così lontana e, invece, eccoci qui, appena dietro l’angolo. Forse me la tiro un pochino ma c’è tutto l’ambaradan da allestire. Questioni logistiche, sia chiaro. Che cosa indossare (si parte alle sei del mattino e farà un freddo becco), cosa portare nei tasconi per non schiattare dopo due ore di corsa. Dove trovare un parcheggio decente... Insomma, cose di basso cabotaggio. Non c’è bisogno d’altro. La tattica,per quanto mi riguarda, è una sola: arrivare in fondo. E scusate se è poco.

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