San Giro

San Giro

Domenica, ovvero la messa solenne di ogni ciclista della… domenica. Lapalisse si rigiri pure nella tomba ma è proprio in questo giorno, profanamente dedicato alla due ruote, che si celebra il rito pagano degli appassionati. Oggi, per gradire, Culmine San Pietro, splendida salita che da Moggio porta ai 1.280 metri (ma il rifugio bara e dice 1.300) e che è preceduta – la salita, si capisce – dalla Lecco-Ballabio, un’altra manciata di chilometri con il 7 per cento medio. C’ero già passato, da queste strade. In bicicletta– proveniente dalla Bergamasca – comodamente seduto sull’auto de “Il Cittadino” al seguito della tappa del Giro d’Italia da Busto Arsizio ai Piani Resinelli. Era il 20 maggio, la domenica del terremoto e della cavalcata di Rabottini. Tempo da tregenda, una raffica impressionante di salite dalla Valcava in giù e, per noi che stavamo in auto a lamentarci del freddo, un vago senso di vergogna al pensiero della fatica di quei poveretti.
Oggi era diverso. Cielo terso e temperatura frizzantina – ma era presto, lo ammetto – decine e decine di appassionati come me che si arrampicavano sui tornanti, saltando a piè pari quelli con le “ruote larghe” che girano le pedivelle a manettone ma che sono sempre lì. Ad accomunare le due giornate? L’asfalto… Certo, quello che San Giro – il santo protettore dei ciclisti – ci fa sempre trovare sulle strade attraversate dalla carovana rosa. E così quella salita (o discesa…) che pochi mesi prima era un calvario infinito di buche maliziosamente nascoste dietro le curve, ecco che si è trasformata in un bellissimo tappetino di asfalto. Pochi millimetri, destinati a essere sbranati dalle pale dello spalaneve al primo rovescio, ma va bene così. Possibile che ci si debba affidare a San Giro per non rischiare cerchioni e cabeza? Possibile sì, ma che importa… Anche se qualche segno di spending review l’abbiamo notato. L’asfalto era posato a tratti: venti metri qui, trenta là, cento più sotto, un ritocchino sul tornante. Ma rispetto a quelli che il Giro lo vedono solo in tivù, a noi va di lusso. Chiamiamolo, tutt'al più, il nostro contributo alla crisi.

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