Quando si va di pedivelle, capita pure di fare incontri ravvicinati del terzo tipo, di quelli che mai ti capiterebbero con qualsiasi altro mezzo di locomozione. Un paio di settimane fa, mentre arrancavo sull’ultima salita di giornata – nei dintorni di Calco – sono stato affiancato da un anziano signore in scooter. A dire il vero, immerso come ero (e come sono) nel mare magnum dei miei pregiudizi, mi è bastato il rumore alle spalle per pensare male. Tel chi, il solito sgasatore folle, mi sono detto.
Invece, quel signore più vicino alla quarta età che non alla terza, mi si è affiancato, quasi rallentando: «Scommetto che hai già fatto un centinaio di chilometri», ha detto. Ma era un tono tutt’altro che canzonatorio e, a dire la verità, ero proprio intorno a quella misura. «L’ho capito subito», ha aggiunto dopo la mia conferma. E, prima ancora che potessi indagare sulla sua sensazione mandando in vacca il mio superego, ha cominciato a raccontarmi di tutto un po’: della sua passione per la bicicletta, del fatto che un tal Motta (che si riferisse al Gianni?) è solito passare su quella salitella, dei suoi figli che invece non ne volevano sapere di sfacchinare sui pedali. La scena, a un osservatore neutrale che per fortuna non c’era, sarebbe sembrata quasi comica. Un ciclista male in arnese (il sottoscritto) accanto a un arzillo vecchietto in scooter che salivano lemmi lemmi per la salita gesticolando e sbuffando. Poi, quando la strada ha cominciato a spianare, mi ha dato la sua benedizione e, prima del saluto volante da sellino a sellino, ha scosso la testa: «Ti invidio, sai. Guarda come sono costretto ad andare in giro…» e via con una leggera sgasata. Qualcosa mi dice che i suoi occhi erano rossi e non per il vento. Mi sono ritrovato a pensare a quei ragazzetti che per una motocicletta venderebbero il loro regno e che associano la velocità con la libertà. Rima a parte, non sempre è così. Talvolta anche il sudore che appanna gli occhiali dà la stessa sensazione. Ed è bellissimo.

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