Una Lance per Armstrong

Lance Armstrong è ufficialmente un ciclista che ha fatto uso di sostanze dopanti e che non merita di avere in bacheca sette Tour de France, lo scudetto del ciclismo. Lo hanno deciso gli “esperti” nella lotta al doping dopo vent’anni di accertamenti, decine di interrogatori e 500 controlli che avevano ottenuto l’unico (modesto) risultato di alimentare il gossip tra gli addetti ai lavori. Ma lo ha deciso lo stesso ciclista americano rinunciando a difendersi al processo in fase di istruttoria, al grido di “quando è troppo è troppo, fate quello che vi pare”.

A noi, che la domenica andiamo di oscure e pulitissime pedivelle, viene da tirare un (amaro) sospiro di sollievo. Abbiamo finalmente scoperto che anche al di là delle Alpi  quello di scendere in tutta fretta dal carro del vincitore è uno sport assai diffuso e altrettanto diffusamente praticato. Non sappiamo se Armstrong sia stato dopato e, di certo, non andremmo a scommettere un euro sulla sua cartella clinica, così come non lo faremmo sul conto dei campioni di ieri, oggi e domani. E di tutti gli sport. Di sicuro sappiamo che la decisione di considerarlo un cattivo esempio arriva ad anni di distanza dal ritiro dalle corse e, soprattutto, arriva ad anni luce dai peana che i mass media di mezzo mondo intonavano al campione che sconfiggeva il cancro a colpi di pedale.

Ignari o indifferenti? Truffati o collusi? Mah… A me, che nulla capisco e che procedo a tentoni sul sottile filo della sensazione, tutto questo puzza un po’. E mi fa pensare che il tiro al piccione sia sempre di gran moda. Titoloni e superlativi quando si scala la montagna della notorietà e del successo sportivo, acidi commenti e provette sospette non appena la si raggiunge. Perché il successo altrui è come il pesce: dopo tre giorni puzza. Qualcosa di simile accadde con il Pirata Pantani, un idolo delle folle fino a Madonna di Campiglio e un truffaldino di lì in poi. E rischia di accadere, per non fermarci al ciclismo, con Usain Bolt: qualche articolino subdolo sulle sue strane frequentazioni è già apparso negli angolini dei quotidiani, quasi una sorta di assaggio al piatto forte che verrà.

C’è da sperare che Lance continui nella sua politica dell’alzata di spalle e non si lasci distruggere come il buon Marco dall’onda emotiva che monterà in queste settimane, fatte di rivelazioni postume, pentiti spuntati dal nulla, medici dalla memoria improvvisamente formidabile. Questa è una giustizia – dandola pure per buona – che lascia perplessi. Come si dice nei sacri testi del diritto, la giustizia ritardata è giustizia negata. Alle mie orecchie suona un po’ come quel medico che ai parenti in attesa spiega, allargando mestamente le braccia che l’operazione è perfettamente riuscita ma che il paziente è morto. E Dio l’abbia in gloria. Il paziente, mica Armstrong.
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