La morte di Isabelle, scheletro di ragazza

II suo nome Isabelle Caro, non diceva nulla. Ma la sua foto, due occhi enormi su un corpo divorato dall’anoressia se la ricordano tutti. Isabelle è morta. Aveva 28 anni e ne dimostrava 99. I sopravvissuti ai lager nazisti erano scarnificati alla stessa maniera. Isabelle non mangiava. Rovinata da una madre che non voleva farla crescere per proteggerla dai mali del mondo, aveva finito per ammalarsi del peggiore dei mali: il rifiuto della vita. Lei parlava, parlava, ma mangiare, quello no, non ce la faceva, inchiodata ai suoi 31 chili su 1 metro e 65 d’altezza. L’unica storia che Isabelle aveva da raccontare era quella che a non mangiare non si diventa belli. Si muore e basta. E alla fine è andata proprio così perché ci si può illudere che la vita vada avanti anche senza cibo, ma non è vero.
Oliviero Toscani aveva scelto lei e quelle quattro ossa coperte di pelle cadente, il seno svuotato, un teschio al posto del viso per lanciare una campagna contro l’anoressia. Un corpo nudo piagato dall’assenza di acqua, proteine, carboidrati, vita. Uno scheletro che si faceva fatica a guardare, un orrore. Qualcosa da cui allontanare la vista. Uno choc tale che il giurì della pubblicità aveva bloccato la campagna. Eppure quella foto era solo la verità. Non era un corpo scheletrico coperto dal più bell’abito del mondo su una passerella. Era il corpo della fame, che spaventa gli altri, nudo e crudo nella sua drammaticità. Una di quelle immagini che fanno cambiare canale, se arrivano dal Terzo Mondo dove l’assenza di cibo non è una scelta. Isabelle era la prova che qualcosa non funziona, nel troppo amore come nella privazione del cibo, ma queste lezioni difficilmente passano. La sua morte non basterà a salvare tutte le ragazze che non mangiano più, però la sua storia va raccontata lo stesso.

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