Morire in un bosco inseguendo la felicità a forma di fungo

Morire in un bosco inseguendo la felicità a forma di fungo

on il senno di poi, di sicuro è un azzardo. Quando la ricerca della felicità si conclude con la morte, è normale domandarsi che senso avesse spingersi così oltre per un porcino o per scalare una cima. Ma la risposta è seminata tra i passi che stanno in mezzo, tra il primo, quello che fa toccare la felicità con un dito a un cercatore di funghi o a un alpinista, e l’ultimo, quel piede in fallo che li fa precipitare. Da fuori, avrebbero fatto meglio a non rischiare, ma in quel rischio per loro c’era il senso della vita. A volte non ci pensi, alla prudenza, quando sei a un passo da una cima che sogni di conquistare. E ancora meno pensi che potresti farti male, mentre ti sporgi a vedere quale bel fungo la natura ti fa comparire sotto al naso.
È un bollettino di guerra, è vero, una strage che macchia di sangue il bianco della neve e il verde del muschio dove crescono i funghi. Ma se le facce di chi muore in montagna hanno sempre i contorni di ragazzi giovani, vuol dire che la passione non può mai morire.
Quella no, quella mai. Neanche in chi ha il viso segnato dalle rughe e di ceste di funghi ne ha riempite a montagne.
Di racconti di funghi grandi come pompelmi, erano piene le vite dei cercatori morti e in Valtellina.
Eppure erano ancora lì, a 60 anni o 80, con gli scarponi e il bastone, la testa bassa tutto il tempo. Bisogna vederli in faccia, per capire, quando arrivano con la cesta piena e ti raccontano di come hanno trovato quel ben di Dio. Perciò sì, con il senno di poi non ha senso. A volte, però, la felicità ha la forma di un fungo.
Vivere senza coltivare la propria passione vuol dire avere una vita vuota. E questo è molto più azzardato che inseguire la felicità in un bosco o su un ghiaccio.

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