Olllalà, la crisi non c'è da Dolce e Gabbana

Olllalà, la crisi non c'è da Dolce e Gabbana

Esagerati. Barocchi. Ridondanti. Eccessivi. Hanno detto bene loro, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, annunciando la loro collezione: opulenza. E romanticismo. Donne che sono Madonne. Abiti che sono da regine.
Chili e chili di perline, strati di pizzi, sovrapposizioni di colori. E poi merletti, ricami, drappeggi, strass, perle, corone, veli, gioielli, catene, collane, scialli, orecchini, cinture e lacci. E' come se su ogni singolo vestito fossero cadute le perle, i gioielli, se si fossero rovesciate sopra le scatole degli ornamenti, come se ogni singola donna fosse entrata in una vasca piena di gioielli e le fossero rimasti appiccicati addosso. Non c'è una sola calza, una sola gonna, un solo abito, una sola giacca, un solo polsino, una sola manica che non sia ricoperta da una quantità esagerata di ricami e decori preziosi. Come quelle Madonne sovraccariche di ex voto che vengono portate in processione. C'è tutta la loro Sicilia, la loro Palermo, il loro essere Dolce e Gabbana, i bustini e mutandoni alti, gli abiti neri e le scollature. Ma è come il rush finale dei fuochi artificiali. E' come se su ogni singolo vestito fossero sovrapposte le esperienze di ogni anno passato. Non solo i loro, ma anche quelli degli Italiani.
E' come se la loro storia fosse la nostra e come se la loro sfilata, con sottofondo di Sole mio e Funiculì funiculà, invitasse gli italiani a darsi una mossa. O almeno a vestirsi a festa e a andare in chiesa a pregare. E questo avviene nel momento in cui gli italiani sono più poveri che mai, almeno dal dopoguerra in poi.
La nuova collezione di Dolce e Gabbana ha un che di regale. Un'eleganza comune anche ai porporati a giudicare dai cappotti ricamati come i paramenti delle chiese. Non è solo il pizzo, stra meraviglioso, della passata stagione. E' di più. E' come se ogni vestito fosse la Cappella sistina e su ogni stoffa di avessero lavorato pittorie scultori. Altro oro. Altro colore. Altra materia. Il risultato è che si resta senza respiro. Incantati. Come alle processioni di una volta. Abbagliati da tutta questa ricchezza.
Finalmente. Finalmente qualcosa che distrae dai discorsi terra terra e grigi di tutti i giorni. C'è la crisi, è vero. Il momento giusto per sfoderare le armi. O i gioielli.
Anna Savini
[email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA