All’inferno e ritorno in ventiquattr’ore
L’avvocato va in cella ma è subito libero

Giovedì Pascali, condannato per peculato, finisce in carcere per la legge “anticorrotti” - Il giorno dopo il giudice sospende l’esecuzione della pena: reato commesso prima della norma

Il biglietto per l’inferno dura il tempo di un giorno e una notte dietro le sbarre per Alberto Pascali, avvocato comasco, condannato a 4 anni di carcere per una poco edificante vicenda di peculato. Giovedì l’ingresso in prigione, a Bollate. Ieri la scarcerazione. E dietro questo passaggio lampo tra le patrie galere, un provvedimento che potrebbe in qualche modo rivoluzionare gli effetti della cosiddetta norma “anti corrotti”.

La questione è complessa e intricata e merita di essere raccontata dal principio. Da quando, cioè, Pascali, avvocato con studio in viale Rosselli e un costoso hobby, quello dei campionati di motonautica, decide di far transitare i soldi di un invalido del lavoro, di cui era il tutore legale, attraverso il proprio conto corrente personale. La famiglia dell’invalido lo scopre e lo denuncia. La Procura indaga e lo manda a processo. I giudici leggono le carte e lo condannano: 4 anni di reclusione per peculato.

All’epoca del reato non esisteva ancora la legge “anti corrotti”, ovvero la norma che impedisce ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione, peculato) la possibilità di ottenere una sospensione dell’esecuzione della condanna per poter chiedere pene alternative al carcere. Questa norma è entrata in vigore a fine gennaio. Pascali è stato condannato in via definitiva per peculato poche settimane dopo. E siccome (questione tecnica, per esperti di giurisprudenza) le norme sull’esecuzione della pena sono “processuali” e non “sostanziali”, il principio della non retroattività della loro efficacia, secondo codice e Cassazione, non vale. Tradotto: Pascali deve andare in carcere.

E infatti giovedì il magistrato delle esecuzioni, Daniela Moroni, firma il provvedimento che spinge Pascali a presentarsi spontaneamente al carcere di Bollate. Nel frattempo, però, il professor Vittorio Manes, esperto di diritto chiamato da Paolo Camporini, difensore del condannato, per argomentare la propria contrarietà sugli effetti della norma “anti corrotti” in casi analoghi, presenta un lungo ricorso. Che ieri il giudice per le indagini preliminari, Maria Luisa Lo Gatto, decide di accogliere sospendendo l’esecuzione della pena. E consentendo a Pascali di tornare a casa.

Questo non significa, per l’avvocato condannato, l’aver scongiurato definitivamente il pericolo di scontare dietro le sbarre i 4 anni, ma riapre per lui la possibilità di chiedere misure alternative alla detenzione, per scontare la pena. Il provvedimento è destinato a creare un precedente in Italia, sul tema dell’applicazione della norma “anti corrotti” a chi ha commesso il reato prima del 31 gennaio scorso.

Secondo il giudice, infatti, si deve applicare anche in questo caso il principio che tutela il cittadino sulla possibilità di subire conseguenze «in virtù di leggi entrate in vigore successivamente alla commissione del reato». Nel suo provvedimento il magistrato sottolinea come non si possa «sorprendere una persona con una sanzione non prevedibile» quando si è violata la norma. E questo deve valere anche sui criteri di applicazione della pena: «I mutamenti che caratterizzano la qualità della pena nella fase esecutiva» impongono di riconoscere «oggi che quelle che, con una truffa delle etichette, vengono considerate norme meramente processuali, perché attinenti alle modalità di esecuzione della pena, siano in realtà norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena» stessa. E quindi «una modifica legislativa peggiorativa di tali norme può determinare gravi pregiudizi per il condannato».

Fin qui l’aspetto “giurisprudenziale”. Che per Pascali si tramuta in una liberazione dopo neppure 24 ore di cella. Libertà che durerà 30 giorni, durante i quali potrà chiedere una pena alternativa al carcere.

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