Castagna: "Se si pentissero
incontrerei Olindo e Rosa"

Intervista alla vigilia della ripresa del processo per la strage di Erba

ERBA - «Credetemi, sono sereno: non vivo nell’attesa di una sentenza e arrivo a pensare che se Rosa e Olindo si pentissero sinceramente per quello che hanno fatto, un giorno vorrei andare a trovarli al Bassone, un visita con presente il cappellano del carcere e lontana dal clamore delle telecamere».
Carlo Castagna sta preparando il riso in bianco in cucina mentre ci concede un’intervista telefonica alla vigilia della ripresa, prevista per domani mattina, del processo per la strage in cui ha perso la moglie Paola, la figlia Raffaella, il nipotino Youssef e una vicina di casa, la signora Valeria Cherubini. Il tono della sua voce appare veramente quello di una persona in pace con se stesso: «Ma sapete - ci confessa - la giustizia divina si è già compiuta e so che i miei cari sono tutti in Paradiso. Ora spetta alla giustizia terrena fare il suo corso ma è un pensiero che non mi assilla: mi auguro che Rosa e Olindo abbiano capito di aver sbagliato e che abbiano finalmente iniziato un cammino di pentimento. Dopo l’arresto sembrava che fossero orientati verso questa strada ma, poi, tutto è cambiato e ci troviamo a celebrare questo processo. Credo che i coniugi Romano abbiano fatto parte di un disegno diabolico che li ha portati quella sera dell’11 dicembre a fare quello che hanno fatto ma, adesso, se veramente dovessero pentirsi, mi sentirei pronto a un incontro al Bassone, mediato dal cappellano del carcere. Dovrebbe essere qualcosa di sentito e voluto da entrambe le parti, ora come ora non mi sembra ci siano ancora le condizioni, e sarebbe comunque un incontro lontano dagli occhi indiscreti delle telecamere».
A proposito di telecamere, prenderà ancora parte alla trasmissione «Porta a Porta» di Bruno Vespa?
«Sono arrivati a telefonarmi tre volte al giorno per convincermi, ma sono molto indeciso. Di andare in studio non se ne parla, nemmeno vorrei telecamere in casa: penso che al limite farò un commento collegato telefonicamente».
Cosa ne pensa dello sciopero della fame che Azouz sta attuando come forma di protesta per la sua espulsione dall’Italia?
«Mah, diciamo che comprendo il suo punto di vista nel senso che lui pensa di avere da noi qualche aggancio in più mentre in Tunisia pensa di non avere opportunità. Onestamente credo che quelli che lui pensa siano suoi amici, come il fotografo Corona, non credo siano più così disponibili ad aiutarlo. Spero che trovi la sua strada, un lavoro e che si rimbocchi le maniche».
Per la festività dei morti si è recato al cimitero di Zaghouan anche quest’anno?
«Diciamo che io, uno dei miei figli e il mio avvocato lo scorso 3 novembre ci abbiamo provato ma non siamo stati fortunati. Volevamo fare tutto in giornata, partenza da Fiumicino alle 11,30 e rientro in serata, come l’anno scorso, ma l’aereo è decollato con un’ora di ritardo e, poi, è addirittura rientrato per un problema tecnico. Alle 14 eravamo ancora a Roma e allora abbiamo deciso di rientrare a Erba. Torneremo in Tunisia a pregare per Raffaella e Youssef alla fine del processo».
Ma che sentenza si attende al termine delle udienze?
«Lo ripeto, mi aspetto solo che la giustizia faccia il suo corso. Spero solo che il processo non subisca ulteriori stop, che venga aggiornato come invece mi è stato paventato, per eventuali richieste di perizie psichiatriche per Rosa e Olindo. Sono certo che la difesa ricorrerà in Appello, ma questo è un altro discorso: quello che sarebbe più difficile da accettare sarebbe un nuovo spostamento delle udienze di mesi come è già accaduto una volta».
Guglielmo De Vita

© RIPRODUZIONE RISERVATA