Centinaia all’addio a Roberto Giacò
«Ha sempre aiutato chi sta peggio»

San Fermo, auditorium gremito per il funerale civile dell’uomo travolto da un’auto
L’intervento di Luraghi (Cgil) e Celestino Villa, il saluto degli atleti dell’hockey

Un bel sorriso, sigaro in bocca e grandi baffi.

Così centinaia di persone assiepate nel nuovo auditorium di San Fermo lunedì hanno ricordato Roberto Giacò, morto il 30 dicembre per le gravissime conseguenze di un investimento. È stato un funerale civile, la bara era accompagnata dalle bandiere della Cgil e del Pd.

Ma Giacò prima che un uomo impegnato in politica era anzitutto un nonno, amato dai suoi quattro nipoti, oltreché uno sportivo appassionato di hockey. Sabato la squadra del Como Hockey ha giocato con il lutto al braccio e ha osservato un minuto di silenzio per ricordare il dirigente scomparso, che per vent’anni ha accompagnato le giovani leve della società. E anche ieri mattina i giocatori hanno portato il loro saluto.

Durante la celebrazione si sono susseguiti tanti interventi, un vero microfono aperto. Hanno preso la parola i figli Matteo e Pietro, commossi accanto alla moglie Caterina. La nuora Francesca e amici come Celestino Villa, ex sindaco di Moltrasio, hanno ricordato il suo impegno contro l’apartheid.

«Coerenza e solidità»

«Guardando il Paese in cui oggi viviamo - ha detto il segretario Spi Cgil Amleto Luraghi - abbiamo il timore che le speranze di Roberto non si siano realizzate. Ma il suo non è l’esempio di un uomo sconfitto, è anzi quello di chi con coerenza e solidità ha sempre cercato di migliorare le condizioni di chi sta peggio. È grazie a persone come lui che oggi possiamo difendere i diritti civili».

«La bandiera rossa era un modo per Roberto di dire “Io ci sono per quel che sono” - ha aggiunto Roberto Gagliardi, referente del circolo Pd locale - Era un uomo sempre aperto al dialogo. Queste nostre bandiere oggi sono troppo piccole per raccogliere il suo grande sentimento di libertà».

La storia di Giacò inizia a Casalnuovo Monterotaro, in provincia di Foggia, nel 1942. A 17 anni Roberto si sposta a Milano per raggiungere in fabbrica i due fratelli.

Il suo è un passato operaio, fatto di scuole serali per conquistare la licenza media, poi il diploma di ragioneria, tra lotte e occupazioni si era anche iscritto all’Università Cattolica.

Militante socialista, iscritto poi al Pci, da sempre sindacalista, si trasferisce a Como con l’amata Caterina. Diventa segretario della sezione di San Rocco mentre lavora a Saronno come responsabile acquisti per un’azienda metalmeccanica.

La candidatura

Candidato per Rifondazione comunista in città, in tempi più recenti si riconosce nel Pd. La sua storia termina bruscamente il 16 dicembre: una macchina lo investe sulle strisce pedonali a San Fermo, dopo due settimane in ospedale Roberto Giacò, all’età di 71 anni, muore.

Sullo schermo alle spalle della bara ieri scorrevano le foto che cercavano di racchiudere le tante tappe della sua vita. Quel baffo e quel sigaro resteranno la sua icona.

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