Coronavirus, le imprese
«Il governo a Draghi
per salvare l’italia»

L’intervista all’imprenditore comasco Maurizio Traglio che fotografa lo stato di allarme sulla sopravvivenza delle aziende e lo stallo della politica

Un Paese fragile che rischia di non reggere l’impatto, economico e sociale, dell’emergenza. Un Paese senza una guida politica stabile e autorevole, capace di chiedere sacrifici pesanti (inevitabili) alle imprese e alle famiglie italiane.

Quella di Maurizio Traglio, l’imprenditore comasco che attraverso la holding di famiglia Aura controlla diverse società tra cui Vhernier brand di fama globale nella gioielleria, è una fotografia preoccupata dell’Italia. Preoccupata, va da sé, per l’epidemia e il corollario di ricadute che porterà con sé nei prossimi mesi, ma preoccupata soprattutto per il dopo, perché nella fase della ricostruzione partiamo indietro e non di poco rispetto a tutto gli altri Paesi europei.

È un po’ come se, ai blocchi di partenza, noi fossimo cinquanta metri indietro…

Ho davanti agli occhi una tabella pubblicata dal Sole 24Ore sul rapporto deficit/Pil in Europa. Il contenuto di quegli istogrammi, in tutta la loro disarmante eloquenza, rappresenta lo stato di estrema debolezza, vulnerabilità in cui si trova l’Italia. Nella classifica del debito siamo al penultimo posto, dietro il Portogallo e davanti solo alla Grecia. E soprattutto siamo lontanissimi non dico dalla Germania, ma da Paesi come Francia e Spagna.

Non vorrà però paragonare il livello di sviluppo di un Paese come il nostro a quello della Grecia…

L’Italia ha una potenza economica notevolmente superiore, siamo il terzo Paese in Europa come forza del settore manifatturiero. Ciò che fa rabbia è però constatare che l’indebitamento enorme che grava sulle nostre spalle non è certo frutto di una strategia basata su grandi investimenti per ammodernare il Paese. No, il nostro debito deriva dall’inefficienza e si è accumulato negli ultimi quarant’anni a causa dell’assenza di scelte strategiche e programmi per lo sviluppo, in anni soprattutto i più recenti, ove il fattore tempo nell’attuare i programmi è determinante. Sequenza di Governi, la cui principale preoccupazione è sempre stata quella di sopravvivere alle diatribe interne. Governi deboli, in genere brevi, ostaggio della politica con la p minuscola, nessuna visione sul futuro del Paese. Oltre a ciò i comparti amministrativi centrali e locali non si sono rinnovati e, navigando a vista per mancanza di direzione politica, non hanno potuto o voluto contribuire in modo significativo all’efficientamento e alla sburocratizzazione dei servizi e delle opere di competenza centrale e locale, al fine di ridurre i costi ed al contempo stare al passo con le esigenze dei cittadini. Le attuali normative del resto, con le complicazioni e lungaggini tipiche di un Paese del terzo mondo, certo non hanno contribuito a liberare risorse.

Uno scenario che segna anche il presente?

Beh non induce all’ottimismo vedere che la maggioranza di governo sta litigando su quale sia il soggetto migliore – Sace o Cdp – per l’erogazione dei finanziamenti alle imprese. Ma come, proprio ora? Siamo nel pieno della crisi più veloce di sempre e di una recessione globale che rischia di involvere in depressione. Molte aziende potrebbero non avere le energie per sopportarne i pesantissimi riflessi economici e finanziari. Dovremo occuparci della pace sociale per quanto possibile, consci che non si può ragionevolmente pensare che le grandi multinazionali possano sostituirsi in termini occupazionali alle molteplici piccole imprese che caratterizzano il nostro paese ed il nostro territorio. Il contesto attuale ci deve obbligare ad una seria riflessione sulle partite da giocare a salvaguardia del nostro futuro. E non solo a quello di domani mattina

Senta, torniamo al debito, lei diceva siamo messi peggio degli altri ma la situazione nei prossimi anni non potrà che peggiorare…

È evidente che si prospetta una drastica riduzione del Pil. Di quanto nessuno lo sa, mi limito a osservare ciò che sta avvenendo nelle imprese dove, da una settimana all’altra, si provvede a rielaborare le previsioni al ribasso. Le difficoltà saranno pesanti e comuni agli altri Paesi ma per noi, a causa dell’alto livello di indebitamento, sarà più difficile ancora imboccare la strada della ripartenza.

L’analisi è chiara ma la ricetta quale potrebbe essere?

L’unica, a mio parere, via di uscita è che si dia la guida del Paese a persone altamente competenti, credibili e riconosciute a livello internazionale per ciò che hanno svolto in passato. Un Governo forte, di prospettiva, con un mandato di almeno cinque anni e l’obiettivo di riportare l’Italia in carreggiata. Infrastrutture, pubblica amministrazione, equità fiscale, economia, sostenibilità....l’elenco delle priorità è lungo. Un Governo guidato da Mario Draghi sarebbe una garanzia per tutti.

Basta un premier autorevole per uscire dai guai?

Un premier autorevole è il primo passo di un percorso fatto di uomini, possibilità e tempo. Ci aspettano tempi durissimi e tutti saremo chiamati a fare dei sacrifici. Il conto di questa emergenza lo pagheranno tutti gli italiani e credo che nel medio termine sarà inevitabile un prelievo fiscale straordinario. Una medicina amara che forse può essere digerita dal punto di vista sociale, solo se si percepirà chiaramente che lo sforzo aiuterà davvero il Paese a risollevarsi. Draghi ed un governo con elevate competenze (seppure ahimè non eletto) trasmetterebbero questa fiducia, Conte, malgrado l’approccio pubblico rassicurante, no.

E se ignorassimo la campanella del debito?

In quel caso purtroppo c’è solo il precipizio, il default. Paese probabilmente commissariato e molte persone in miseria. Mi auguro che a nessuno passi davvero per la testa di volerci fare la fine dell’Argentina.

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