Da Canzo alla Mongolia
Ecco la tenda per i nomadi

Francesco Bertelè invitato alla Biennale che si è svolta nel paese asiatico

Da Canzo alla Mongolia, l’arte di Francesco Bertelè espatria per la Biennale che si è svolta in Asia, la Land art biennial Lam 360°, terminata il 29 agosto sul tema è “Uomini e animali”. Argomenti sensibili, quali il pascolo eccessivo, la desertificazione, il bracconaggio, commercio illegale di specie selvatiche e altri aspetti della zootecnica.

Sono stati invitati venti artisti provenienti da tredici diversi paesi che in viaggio nella Orkhon Valley hanno potuto trovare l’ispirazione per la loro performance artistica. Francesco Bertelé, 36 anni, già apprezzato sul territorio comasco per la realizzazione della casa sull’albero in argilla, ha pensato di proporre un’opera che servisse come riparo abitativo mobile. Un bozzolo sferico in feltro locale, un materiale molto comune in Mongolia.

Questa scultura è una vera e propria dimora precaria che si adatta perfettamente alle steppe asiatiche. Circa il 40%della popolazione vive nella steppa, è nomade e organizzata a gruppi o piccoli villaggi. Migliorare e proteggere i mezzi di sostentamento nomadi e garantire la conservazione della natura e dei mezzi di vita per le generazioni future, è stato il suo punto di partenza. Ha acquisito in loco le tecniche per la lavorazione del feltro ed ha imparato da yak e cavalli il loro modo di attraversare fiumi, studiando come fanno gli animali a sopravvivere da soli. Il progetto è assolutamente a “bassa tecnologia”. Questo pezzo fa parte di un corpo di lavoro che si occupa di rifugi e tecniche di sopravvivenza, una serie di esperimenti su come vivere in modo itinerante, con un esercizio di solitudine e meditazione.

«Riscoprire l’essere animale nel nostro profondo è un processo che richiede tempo e dedizione. Nelle mie montagne - racconta - e nelle foreste, così come in Mongolia, scopro che il mio animale cerca come prima cosa il rifugio, unità minima per riconoscersi e conoscere. Il primo passo di un’azione di resilienza senza fine ultimo se non quello di stare, sedere e respirare. Perché, come diceva H.D. Thoreau nel suo Walden, ogni uomo deve imparare da capo le direzioni della bussola, ogni volta che si risveglia sia dal sonno che da qualsiasi astrazione. Solo quando ci siamo perduti, cominciamo a trovare noi stessi, e a capire dove siamo, e l’infinita ampiezza delle nostre relazioni».

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