Finisce in carcere per sbaglio
«In cella senza perché»

A Como, incensurato aveva patteggiato un mese per guida in stato di ebbrezza, è stato arrestato: «Tornavo a casa, mi sono trovato in prigione». Il provvedimento annullato dal giudice

Il magistrato non la manda a dire, nel provvedimento che chiude l’ultimo capitolo dell’incubo alla Kafka in cui è piombato un cuoco comasco, portato in cella senza un valido perché, come sancisce pure il giudice per le indagini preliminari, Maria Luisa Lo Gatto. L’ordine di esecuzione della pena costato cinque giorni di carcere a Marco Accorsi, infatti, è stato annullato con tanto di tirata d’orecchi a chi, tra tribunale e procura, non ha approfondito il caso a sufficienza.

Accorsi tornava a casa dal lavoro, quando è stato fermato per un normale controllo dai poliziotti che gli hanno comunicato: «La dobbiamo portare in carcere». Tutta colpa di un vecchio patteggiamento a 30 giorni di reclusione per essere stato trovato - nel 2009 - al volante della sua auto con appena 0,10 milligrammi d’alcol nel sangue oltre la soglia imposta dal codice per la condanna penale.

Dura lex sed lex Accorsi aveva scelto la strada che accomuna tutti gli imputati per guida in stato di ebbrezza: il patteggiamento con la sospensione condizionale della pena subordinata ai lavori socialmente utili. Procedura che consente di dimezzare i tempi di sospensione della patente e di far tornare pulita, dopo il periodo di messa in prova, la fedina penale.

Dopotutto il cuoco comasco non ha mai avuto alcuna pendenza con la giustizia. Incensurato, ad eccezione di quel controllo in cui è incappato cinque anni fa. E per il quale si è fatto cinque giorni in carcere: «Un incubo», dice ora che è fuori dal Bassone. «Devo ancora riprendermi: se ripenso a quello che ho vissuto sto più male adesso che nei giorni in cui sono stato in cella, in compagnia di persone condannate per rapina e spaccio. Sono stato catapultato in una realtà allucinante, che non era la mia, per un errore».

Si potrebbe parlare di superficialità, non ci fosse di mezzo un tema delicato come la libertà delle persone. Dopo il patteggiamento a un mese, Accorsi aveva iniziato il periodo di lavori sociali concordato con il giudice. Poi, però, aveva trovato lavoro in Svizzera e l’impegno ai servizi sociali era risultato incompatibile con quello professionale.

Per questo motivo è stata revocata la sospensione della pena e si è riattivato il procedimento per l’ordine di esecuzione di quella condanna a un mese. L’ufficio esecuzioni, però, anziché notificare il provvedimento a casa di Accorsi - indirizzo ben noto al Tribunale, visto che compariva negli atti del procedimento a suo carico - ha inviato il tutto a un vecchissimo recapito. Dove più nessuno aveva notizie dello sventurato cuoco. Il quale, per questo motivo, è stato frettolosamente considerato irreperibile. Per questo motivo l’ordine di esecuzione della pena è diventato operativo all’insaputa del diretto interessato.

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