Giallo Mingarelli
«Nessuno coinvolto
nella morte di Mattia»

Il procuratore di Sondrio Gittardi ha chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti per omicidio

Non vi sono responsabilità di altre persone nella morte di Mattia Mingarelli, il 30enne rappresentante di commercio di una ditta di bibite e vini di Nuova Olonio e residente ad Albavilla, nel Comasco, trovato senza vita la vigilia di Natale del 2018 a poca distanza da un pilone della seggiovia dei «Barchi» nei boschi della Valmalenco, dopo due settimane di ricerche ininterrotte.

Nessuna svolta

Nessuna svolta, nessuna nuova pista e, come aveva già sostanzialmente annunciato sei mesi fa il procuratore di Sondrio, Claudio Gittardi, in partenza domani per dirigere la Procura di Monza, il caso ora va verso l’archiviazione. La Procura ha infatti depositato presso la cancelleria del giudice la richiesta di archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti per omicidio.

«Stiamo aspettando l’esito di alcuni esami su tracce ematiche rinvenute su un accappatoio all’interno del rifugio. Se quell’esame non stravolgerà il quadro allora saremo in grado di prendere una decisione» aveva detto Gittardi lo scorso dicembre, quasi esattamente un anno dopo la scomparsa e il ritrovamento del cadavere del 30enne, e ora questa decisione è stata presa.

«Riteniamo altamente probabile che la scomparsa non sia collegata ad alcuna attività delittuosa – conferma adesso il procuratore -. Per una serie di situazioni, forse legate ad uno stato di alterazione, si è allontanato da solo verso dal rifugio “I Barchi”, è stato male, ha perso il telefono, è tornato nella sua abitazione, dove ha lasciato cappello e cappotto, per poi uscire e cadere accidentalmente nel bosco. Non è stato colpito da nessuno, questo è stato accertato, la caduta e il freddo ne hanno causato il decesso. Resta il giallo sul perché si sia inoltrato nel bosco»

Decide il gip

Ora, quindi, il giudice delle indagini preliminari è chiamato a decidere in merito all’archiviazione, anche alla luce, semmai, di diverse richieste da parte dei familiari di Mattia Mingarelli che, non hanno mai creduto a questa ricostruzione dei fatti che esclude responsabilitù di terzi.

La famiglia

«Vogliamo la verità sulla morte di Mattia – ha detto la sorella, Elisa, lanciando un appello durante la trasmissione “La vita in diretta” sei mesi fa -. Siamo convinti che non si sia trattato di un incidente, di una semplice caduta accidentale. E il fatto che in procura a Sondrio sia ancora aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio dimostra la fondatezza dei nostri dubbi. Pensiamo che possa essergli stato fatto del male e che qualcuno sappia molto più di quanto detto agli inquirenti. Se qualcuno sa qualcosa deve parlare».

Il riferimento potrebbe essere a Giorgio Del Zoppo, titolare del rifugio I Barchi. Fu lui, l’8 dicembere del 2018, l’ultimo a vedere Mattia Mingarelli vivo, insieme avevano bevuto qualche bicchiere di vino e mangiato un tagliere di salumi «ai Barchi». E fui lui a ritrovare il telefono cellulare del rappresentante e ad accenderlo. Da quando uscì dal rifugio in Valmalenco, a pochi metri dall’abitazione della sua famiglia, del 30enne si persero le tracce per due settimane, poi, il ritrovamento del corpo, il giorno della vigilia di Natale.

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