Pennestrì: «Risarcisco»
E offre 100mila euro

Il commercialista comasco punta a uno sconto di pena - Con il figlio è in carcere dallo scorso giugno. Sono accusati di corruzione

Tre mesi dopo essere finiti in carcere, Antonio Pennestrì e Stefano Pennestrì, i commercialisti padre e figlio accusati di essere il perno di un diffuso sistema corruttivo che avrebbe permesso a numerose aziende comasche di ottenere cospicui sconti sugli accertamenti fiscali, si apprestano ad uscire di scena dall'inchiesta che aveva mandato agli arresti anche l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate Roberto Leoni, e il capo team legale dello stesso ufficio, Giuseppe La Verde.

Il loro legale, avvocato Giuseppe Botta, ha avanzato formale richiesta di accedere al patteggiamento, mettendo sul piatto la cifra di centomila euro. Una somma, comprensiva di quanto già sottoposto a sequestro preventivo da parte della Procura, che costituisce una quantificazione delle utilità illecite ottenute da entrambi per il loro ruolo di “facilitatori di corruzione” (come li ha definiti il pubblico ministero Pasquale Addesso, titolare dell’inchiesta sulla tangentopoli del fisco), e non anche per la corruzione dei pubblici ufficiali.

E sta proprio al pm, che dai due ha ottenuto ampia confessione e soprattutto elementi utili per proseguire l’inchiesta, valutare la congruità della proposta, cioè se dare o meno l’assenso. In caso di risposta positiva, il passo successivo sarà la richiesta di applicazione della pena, ricordando anche che il patteggiamento, se da un lato implica la rinuncia dell’imputato a contestare l’accusa, dall’altro gli concede uno sconto sulla pena fino a un terzo. Tenendo conto che si può arrivare ad un massimo di cinque anni.

Ma le due posizioni di padre e figlio differiscono, e pure di parecchio: Antonio Pennestrì è recidivo, in quanto ha già un precedente (quando era anche presidente della Comense).

Può accedere al patteggiamento in quando sono trascorsi più di cinque anni da quando ha finito di scontare la condanna precedente. È considerato, anche per la sua estesa rete di relazioni personali, il “dominus” di tutto il sistema corruttivo, non a caso da lui stesso definito (si sente nelle intercettazioni ambientali, e non senza una punta di vanto), “il metodo Pennestrì”, in virtù del quale molte aziende comasche, grazie agli sconti indebiti ottenuti per sua interessata intercessione presso compiacenti pubblici ufficiali, avrebbero raddrizzato i propri conti.

Stefano Pennestrì invece è del tutto incensurato. Dunque nell’eventualità, che appare molto prossima di patteggiamento, saranno assai divergenti le misure che saranno applicate a padre e figlio. Attualmente il primo è detenuto in regime di custodia cautelare a San Vittore, Milano, il secondo a Monza.

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