Quasi un miracolo
per il piccolo Ivan
«Ora cammina»

Di Olgiate, nato nel 2005 con la sclerosi tuberosa, grazie all’aiuto di una sottoscrizione fu operato a New York e ora fa grandi progressi

«A tutti quelli che ci hanno aiutato, e sono davvero tanti, dico dal profondo del cuore un secondo, grande, “grazie”». Raffaella parla con commozione, ha a fianco il marito Massimo Latte e con loro nella casa di Olgiate c’è l’amico che più grande non c’è: Enrico Fagetti. Il motivo di questo secondo “grazie” è per Ivan: ricordate il bambino nato il 10 febbraio 2005 con una gravissima malattia, la sclerosi tuberosa, per il quale tra marzo e aprile del 2007 fu lanciata una sottoscrizione per raccogliere la somma necessaria all’operazione in America, al Medical Center di New York?

Servivano 250mila dollari, e quasi in un mese furono raccolti 230mila euro. Così Ivan fu operato. Senza quell’operazione Ivan sarebbe morto, ebbene è di questi giorni la notizia che Ivan cammina. Assistito da tutori, grazie all’assistenza e alle amorevoli cure che riceve da tre anni a Villa Santa Maria di Tavernerio, Ivan riesce a compiere lunghi percorsi, a uscire in giardino quando c’è bel tempo e a muoversi con una certa disinvoltura. La fisiatra che lo segue si chiama Debora.

A casa papà e mamma aspettano Ivan, con l’altro fratellino, e sperano di poterlo portare per Natale. L’albero è tutto addobbatto e sopra c’è appesa anche una busta con una letterina scritta dal fratellino: chiede alcuni doni per se e “tanti bei regali per Ivan”.

Per capire la sua condizione bisogna sapere che Ivan non parla e che presto sarà sottoposto a una nuova operazione che si rende possibile grazie a questo piccolo, grande miracolo che ora cammina. Dovranno operarlo ai piedi per allungargli in tendini in modo che possa stenderli e poggiarli bene per terra, ora che può camminare. Prima non ci pensavano nemmeno a operarlo. Invece in poco tempo, grazie alle cure e agli esercizi, Ivan ha fatto progressi sorprendenti che riempiono di gioia mamma Raffaella e papà Massimo. E anche il fratellino che quando gli si chiede quanto vuole bene a Ivan fa un salto in aria e allarga le braccia facendole roteare come a volare per dire che la risposta è «tantissimo».

Il papà, con la compostezza e il riserbo di un militare (è finanziere), descrive l’emozione di sapere che quel figlio ha fatto un grande progresso. «Sapevamo che aveva quella terribile malattia prima ancora che nascesse. L’abbiamo accettato anche se non sapevamo che cosa avrebbe comportato. Nessuno lo può sapere prima. Lo abbiamo portato in America per farlo operare al cervello, sapevamo che non ci dovevamo aspettare chissà quali miglioramenti. Era già tanto averlo riportato vivo a casa. Per più di tre anni lo abbiamo tenuto tra noi e gli ospedali, cliniche dove veniva curato. Poi è arrivato il momento di affidarlo alla Villa Santa Maria: lì avrebbe potuto ricevere le cure necessarie e avere l’assistenza che noi a casa non potevamo dargli. Ricordo quando l’ho portato lì per lasciarlo. Ricordo. È stato il giorno più brutto della mia vita».

Comprendere cosa significa per questa giovane e bella famiglia quel figlioletto che sembrava perduto basta rileggere una frase che la mamma disse nel luglio 2007 e fu riportata in un articolo di Manuela Clerici su “La Provincia”: «Il suo è un caso tra i più complicati, non ci si può aspettare miglioramenti eclatanti, ma ci sembra già tanto il fatto che finora non abbia avuto crisi epilettiche e assuma metà dei farmaci che prima gli davano. Il nostro sogno sarebbe vederlo camminare e magari parlare. Già sarebbe una vittoria sapere che ci riconosce come mamma e papà».

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