Album di Famiglia
La moda che cresce
nell’anno della pandemia

Il modello vincente dell’azienda di Lomazzo che è riuscita ad aumentare il fatturato del 17%. L’87% delle vendite all’estero: boutique e e-commerce. «Canale online importante, è operativo da dieci anni»

Nell’anno della pandemia, il 2020, il fatturato è cresciuto del 17% e le vendite online hanno guadagnato addirittura il 60%. Sono i risultati di Album di famiglia, dinamica azienda tessile di Lomazzo fondata nel 2000 da Monica Rusconi e legata a doppio filo alla sua storia familiare. Un modello di piccola impresa che ha saputo coniugare savoir faire artigianale e tecnologie digitali.

Come si spiega un segno positivo quando il fatturato delle aziende tessili italiane, in media, per il 2020 ha segnato il -30%?

Penso sia una commistione di fattori. Gran parte del nostro lavoro avviene con l’estero, la percentuale di fatturato è 13% per l’Italia, 15% per l’Europa e 72% per il resto del mondo, soprattutto Stati Uniti e Giappone. La clientela internazionale costituisce quindi la gran parte dei nostri interlocutori che sono i negozi che propongono le nostre collezioni, ma abbiamo cominciato a rivolgerci al cliente finale e a integrare con l’e-commerce già con il primo sito del 2011.

Perché questa scelta di proporsi online in tempi precoci?

Abbiamo potuto farlo con il coinvolgimento di mio fratello Giovanni, anima tecnologica e informatica dell’azienda. Pur utilizzando una agenzia esterna per la programmazione del sito è indispensabile avere al proprio interno una figura competente e dedicata che gestisca l’aspetto digitale delle vendite e che parli quello stesso linguaggio. Con la sua competenza abbiamo potuto iniziare online anche la vendita diretta, così nel 2020 avevamo alle spalle già dieci anni di legami diretti con i clienti e-commerce e una mailing list consolidata.

Questo lavoro già avviato che riscontri ha avuto nel momento in cui i punti vendita, in tutto il mondo, erano chiusi?

Abbiamo controllato le ricerche online con il nostro nome e nel mese di gennaio 2021 eravamo al 43%, cioè molti clienti che ci hanno conosciuto nei negozi cercavano sul web il nostro marchio. Il nostro è un prodotto di nicchia, non facciamo pubblicità. L’unica possibilità di esposizione non virtuale per noi sono le fiere. In passato ne facevamo fino a dodici all’anno: Milano, Pitti a Firenze, Parigi, New York. Poi abbiamo diradato la presenza o, per esempio a Parigi, abbiamo allestito le collezioni in gallerie d’arte nel Marais. Ora le fiere sono sospese e la nostra vetrina sono i negozi. Abbiamo lavorato molto sul livello del prodotto e quindi entriamo in boutique di alto profilo.

Come si conquista o si mantiene una clientela anche in tempi di lockdown?

Abbiamo clienti molto fedeli. Una boutique giapponese, per esempio, lavora da noi dal 2000, dagli esordi, come una cliente di Roma che compra da noi dal 2001. Sono rapporti che durano nel tempo e la nostra attività è cresciuta così, passo passo, come anche l’e-commerce, anno dopo anno, con un picco nell’ultimo. La percentuale e-commerce sul fatturato della vendita on line è salita nel 2020 a 12,5% rispetto al 9% del 2019.

Come ha potuto continuare in modo efficace in mesi molto difficili?

L’online quest’anno si è rivelato un canale di grandi opportunità, ma non me lo aspettavo. All’inizio, quando è scoppiata l’emergenza Covid-19, il primo lockdown ha coinciso con il momento in cui dovevamo mettere sul sito la nuova collezione e io avevo uno scrupolo di carattere etico, in un momento così drammatico per tutti, mi sentivo a disagio a proporre qualcosa di non necessario, in un certo senso di frivolo ma che, di fatto, è il nostro mestiere. Così ho scritto una newsletter sincera spiegando che il nostro lavoro è fare vestiti, ci esprimiamo così e per noi è fondamentale il supporto dei clienti, solo attraverso la vendita possiamo continuare la nostra attività, insieme alle persone che lavorano con noi e contribuire in questo modo a mantenere una filiera che è molto lunga.

Merito quindi di una newsletter?

Non so se sono state queste mie parole ad avere un peso o le persone avevano voglia di comperare i nostri capi, il fatto è che abbiamo avuto un fortissimo incremento del lavoro, tanto che ci siamo dovute ingegnare. Inizialmente non era possibile venire in ufficio, mentre le spedizioni continuavano, allora abbiamo organizzato tutto il nostro stock su un furgone e mia sorella Patrizia lo teneva in giardino così, quando arrivava un ordine, era in grado di spedirlo nel rispetto delle regole.

Come avete gestito invece il rapporto con i negozi che fornite?

C’è stato un primo momento di panico generale all’inizio di marzo 2020, avevamo appena incontrato i nostri negozi a Parigi per la collezione invernale e proprio in quel periodo si trattava di confermare gli acquisti, ma in quel momento di incertezza nessuno poteva versare l’anticipo. Loro avevano paura a impegnarsi ma noi altrettanta a far partire una produzione senza garanzie, allora abbiamo condiviso il rischio, noi abbiamo ordinato tutti i tessuti necessari ma avremmo messo in produzione solo gli ordini confermati. Con qualche fatica alla fine tutti o quasi hanno accettato e le cose sono andate bene per tutti.

Da dove provengono i tessuti e dove si realizzano i capi?

I

tessuti sono quasi esclusivamente di fornitori italiani, come italiani sono i laboratori dove si realizzano le confezioni, i prototipi li prepariamo anche in sede a Lomazzo, nei pressi di ComoNext.

Da cosa nasce il nome “Album di famiglia”?

Mi affascina l’idea delle vecchie foto di famiglia, quando si passavano i vestiti da un fratellino all’altro, mi è sempre piaciuta l’idea di non buttare via le cose ma di tramandarle. L’attività è diventata un progetto di famiglia in tutti i sensi. L’ho avviata quando sono diventata mamma e ho sentito l’esigenza di un progetto che mi appartenesse, dopo un percorso di studi, classici e grafici, e professionale nel settore moda bimbo ed è stato importante il coinvolgimento e il supporto di tutta la mia famiglia.

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