Como, crisi lavanderie
«Sempre aperte,
ma crollo di lavoro»

Nel Comasco bruciati 5 milioni di fatturato a causa di smart working e stop alla socialità. «Pochi sostegni, molte hanno deciso di chiudere»

Le lavanderie sono aperte e registrano perdite del 40%. Attività che rientrano nei servizi alla persona e che possono continuare a lavorare anche in zona rossa, ma la diminuzione di fatturato in provincia di Como è stata di oltre 5 milioni di euro nel 2020.

«Siamo aperti ma i clienti non hanno bisogno di noi» afferma Maria Cristina Guglielmetti presidente Confartigianato Pulitintolavanderie Como, vicepresidente regionale e titolare dell’omonima lavanderia a Capiago Intimiano.

Il nuovo contesto

Lavoro da casa, assenza di turisti e cerimonie cancellate, tutti cambiamenti dovuti all’emergenza sanitaria che remano contro il settore: “Lo smart working ha cambiato le abitudini delle persone che lavorando da casa, indossano raramente completi e tailleur. La mancanza di turisti ha influito sull’attività di ristoranti e alberghi e quindi sull’uso della biancheria. La cancellazione di eventi e cerimonie ha ridotto l’utilizzo degli abiti, tra i capi che maggiormente vengono portati in lavanderia. Oltre alla mancanza di matrimoni va evidenziata anche la chiusura dei ristoranti e dei teatri che ha influito molto sul nostro settore». Ridotta anche la manutenzione richiesta per l’abbigliamento tecnico sportivo, si pensi a tutta l’attrezzatura utilizzata per gli sport invernali.

Le lavanderie si dividono principalmente in due tipologie: industriali che si occupano soprattutto di ristoranti, alberghi e anche noleggio biancheria; tradizionali che si dedicano all’abbigliamento e ai tessuti.

I sostegni economici sono andati quasi esclusivamente alle grandi lavanderie industriali: «Abbiamo avuto i 600 euro iniziali per due mesi, marzo e aprile, le Partite Iva hanno poi ricevuto 1.200 euro. Inizialmente la Regione aveva previsto dei ristori non inserendo il nostro codice Ateco ma solo quello delle lavanderie industriali, siamo poi riusciti ad avere un aiuto solo grazie all’interessamento di alcuni politici e di Confartigianato».

In Lombardia il comparto delle lavanderie è costituito da 3.606 imprese, consistente la quota di lavoro indipendente, le micro e piccole attività ne rappresentano la quasi totalità. In provincia di Como si contano 166 realtà e più della metà, 92, sono artigiane.

Il settore nel 2019 ha generato un fatturato regionale di oltre 300 milioni di euro, nel 2020 ha subito un calo di 144 milioni. A livello provinciale Milano ha registrato il dato peggiore con la perdita di 43 milioni di euro, seguita da Brescia (-17 milioni) e Bergamo (-10 milioni), Como si attesta sui meno 5 milioni.

Imprese femminili

Piccole e micro imprese che pagano anche il fatto di essere gestite soprattutto da donne, costrette a chiudere per lunghi periodi per poter gestire figli in Dad e parenti anziani: «Tante colleghe prossime alla pensione, hanno deciso di chiudere l’attività in anticipo a fine 2020. Impossibile sostenere i costi fissi come gli affitti e con il poco lavoro che c’è anche far funzionare un macchinario non a pieno regime, ha un costo troppo elevato».

Nonostante la situazione non mancano i corsi di aggiornamento e le idee per rilanciare il settore: «Noi artigiani davanti alle difficoltà non ci fermiamo mai e abbiamo pensato di creare dei contenuti, video e incontri, per sensibilizzare le persone sull’importanza del capo pulito. Noi siamo quello che mangiamo ma, lo sostengo da sempre, siamo anche quello che indossiamo, i vestiti sono la nostra seconda pelle, dobbiamo fare attenzione a come trattiamo i tessuti senza usare detergenti chimici troppo aggressivi che fanno male anche a noi e all’ambiente».

La proposta è stata accolta a livello provinciale e regionale e presto nasceranno, in diverse modalità, consulenze dedicate ai tessuti e alla loro corretta pulizia.

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