L’oro nero dei campi
viene dai lombrichi
«Io li allevo sul lago»

A Mandello l’azienda di Luigi Compagnoni ha un’avviata produzione del prezioso vermicompost. Usato nei vigneti, aiuta la sostenibilità della filiera

Un campione di sostenibilità in campo e non solo: è il lombrico che, dopo un primo exploit alla fine degli Anni Settanta, torna su uno scenario agricolo che, in questi anni, è cambiato radicalmente, con la “rivoluzione biologica” della filiera del cibo.

Cinque cuori e sei reni fanno del lombrico un autentico “spazzino universale”, che si nutre di ogni materia organica che può essere smaltita, mangiando ogni giorno fino al doppio del proprio peso. Ed il suo humus ha l’effetto di un toccasana nei campi di frutta e verdura, come pure in vigneto.

Gli studi hanno dimostrato, ad esempio, che i pomodori sviluppano una crescita maggiore del 30% e migliorano le proprietà organolettiche. Addirittura, le piante di pomodoro riescono a raggiungere un’altezza due volte superiore. Così è anche per basilico e sedano, dove la taglia delle foglie anche in questi casi raddoppia. Le piante, inoltre, risultano più consistenti e resistenti, con un crollo verticale degli anticrittogamici utilizzati (soprattutto per peperoni e melanzane).

L’azione nei campi

«L’humus di lombrico è molto importante per il reintegro della sostanza organica nei terreni. È un fattore di successo nelle forme di agricoltura innovativa, particolarmente per il segmento biologico che vive un momento di grande espansione» dice Luigi Compagnoni, coltivatore di Mandello del Lario associato a Coldiretti, che ha avviato, da zero, un allevamento di lombrichi in un’ottica di sostenibilità della filiera gastronomica. Oltre ai vivai di lombricoltura, Compagnoni ha scritto cinque libri dedicati alla materia e gestisce un’agenda fitta che lo porta in tutta Europa per trasmettere competenze in questa materia.

Il vermicompost nell’ambito del mercato italiano dei fertilizzanti – osserva Coldiretti Como Lecco - rappresenta una percentuale intorno al 5%. Si tratta, pertanto, di una produzione di nicchia. Le aziende agricole esclusive nell’allevamento di lombrichi sono in realtà ancora poche, ma molte di più sono le aziende che integrano già le proprie attività agricole con la lombricoltura. Il prodotto più importante ricavato da questa attività è senza dubbio l’humus, una sostanza organica complessa, contenente carbonio, derivata dalla decomposizione dei residui vegetali e animali e dall’attività di sintesi dei microrganismi.

In sostanza, è la parte più fertile del terreno tanto che in tutti i Paesi dell’America settentrionale è chiamato “Black Magic” per il suo colore scuro e le sue eccezionali qualità. Tra le principali la capacità di: rendere il terreno più soffice e leggero in modo che le radici delle piante possano svilupparsi più facilmente; trattenere maggiormente l’umidità così come i concimi con conseguente minore inquinamento delle falde acquifere e dei fiumi.

«Per allevare il lombrico – riprende Compagnoni – si utilizzano lettiere umide (in cassoni, fosse interrate o prismi), meglio se a cielo aperto, collocate direttamente sul terreno». Dato che il lombrico non predilige una tipologia di terra piuttosto che un’altra, possono essere recuperati anche siti non vocati all’attività agricola, anche in montagna o presso allevamenti zootecnici, o ancora nei boschi e perfino in discarica. L’alimentazione avviene circa tre volte al mese, e comunque con un intervallo non superiore ai 15 giorni, inumidendo sempre la lettiera: come detto, il lombrico è un formidabile spazzino che si nutre, in pratica, di qualsiasi materia organica, compreso il letame di stalla.

Protezione e raccolto

Un telo sarà sufficiente per difendere i lombrichi dai loro predatori naturali (tra cui le talpe). La raccolta dell’humus avviene di norma ogni 6-12 mesi: di fatto è il risultato della trasformazione dei rifiuti organici da loro ingeriti e si presenta come un terriccio scuro e ricco.

Questo humus (o vermicomposta), è utilizzato anche per la produzione delle barbatelle di vite e per la concimazione in vigneto. Dalle terre dei big Tuscany, al Veneto dell’Amarone, dalla Sicilia alla Franciacorta, diversi viticoltori hanno introdotto propri impianti di lombricoltura per trattare gli sfalci della potatura, trasformarli in humus e reimmetterli in terreno: si è calcolato che un impianto di vite “nutrito” a lombrichi allunga la propria vita di 4 o 5 anni in più rispetto al normale. Ma risultati si vedono anche sugli agrumeti o sugli impianti di ulivo: in quest’ultimo caso,«si utilizzano gli scarti della sansa di due frantoi che, attraverso la lombricoltura, vengono trasformati in compost».R. Eco.

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