Il racket dei buttafuori in Brianza
Da Cantù a Erba locali sotto scacco

Le trame e gli accordi per gestire la security della discoteca Modà. E all’interno dello Spazio Renoir un altro pestaggio violento fatto con modalità mafiose

C’è un filo, neppure troppo sottile, che lega l’operazione dei carabinieri di ieri a quella che gli stessi detective del nucleo operativo di Cantù avevano portato a termine nell’autunno di tre anni fa. E quel filo parte, manco dirlo, dalla discoteca Spazio Renoir, già al centro delle mire della ’ndrangheta per la gestione della sicurezza.

Calci e pugni a San Silvestro

È la notte di San Silvestro del 2017. Sono passati pochi mesi dagli arresti del gruppo Morabito, ma evidentemente la cosa interessa il giusto ai personaggi travolti dal blitz di ieri. Tra loro Daniele Scolari, dal 2013 (cioè dall’arrivo come addetto della security di Ludovico Muscatello, nipote del defunto boss della locale di Mariano) buttafuori dello Spazio Renoir. Quella notte, sulla pista da ballo, un paio di amici hanno una discussione - causa avance non accettate - con un paio di ragazze. Interviene Scolari che, assieme ai suoi buttafuori, si accanisce su uno dei giovani. Alla fine lo lascerà a terra con il setto del naso fracassato, un dente saltato, il volto tumefatto. E ben trenta giorni di prognosi.

Chiosa il giudice nell’ordine di arresto: «Elemento rivelatore del metodo mafioso è il ricorso alla violenza, allorquando la mera prospettazione di un male ingiusto appaio insufficiente». Una violenza «utilizzata spesso come extrema ratio» sia per non attirare l’attenzione delle forze di polizia, sia perché «sintomatica di una fallacia nel circuito chiuso che l’associazione mira a instaurare in un determinato territorio imponendo una pax mafiosa dettata da condizioni di assoggettamento e omertà».

La stessa omertà che proprio Scolari aveva messo in scena durante il processo a carico di Morabito e presunti soci (testimonianza richiamata nell’atto d’accusa).

Le mire sul Modà

Seguendo quel filo, i carabinieri sono partiti dalla discoteca Spazio di Cantù per arrivare al Modà di Erba. Il cui servizio di sicurezza è stato preso in appalto, senza troppi complimenti, dal binomio Scolari-Luca Vacca.

È il novembre 2017. La discoteca Club Modà, presa in gestione dopo il fallimento dall’ex manager di Vasco Rossi, Enrico Rovelli (del tutto estraneo alle accuse e alle contestazioni), sta per riaprire. Il buttafuori del Renoir si attacca al telefono con un personaggio di spicco legato alla malavita dell’Erbese. La telefonata è emblematica delle dinamiche malavitose: Scolari, infatti, chiama per chiedere il permesso di acquisire la gestione della sicurezza del Modà: «Tu basta che me lo dici... e te lo prendi» dà il benestare il pezzo grosso.

Il servizio di security, già dato in affidamento da Flavio Scarcella (a cui la proprietà della discoteca aveva dato in gestione il Modà) a una società di Milano, viene di fatto sottratta a quest’ultima dopo l’intermediazione dell’amico degli amici (dei clan). Il passaggio di consegna del servizio avviene in un incontro descritto così, al telefono, dallo stesso Scolari: «Io arrivo dappertutto... lo abbiamo cacciato quell’altro scemo. Ho fatto riunioni con tutte le persone di Milano, di Erba, di Lecco e hanno detto: “O viene Dani a lavorare qua, o non viene nessun altro”.. Flavio aveva deciso di chiamare Ale (il precedente responsabile della sicurezza ndr)... non è vero che questa zona qua ce l’ha lui, ma ce l’ho io, ed allora ci siamo seduti ai tavoli e gli ho detto “Ale mi dispiace, tu sei tagliato fuori”».

Il giudice avrà modo di sottolineare come un simile linguaggio, «questa zona ce l’ho io», è sintomatico di un sistema tipicamente mafioso.

Non solo. Perché lo stesso magistrato non può non sottolineare un passaggio che, unita l’inchiesta sulla piazza Garibaldi di tre anni fa a quella di ieri, balza chiaramente agli occhi. E cioè che «tali circostanze hanno svelato un sistema di vera e propria compenetrazione organica, tale da poter affermare che i servizi di sicurezza svolti a favore dei locali di pubblico intrattenimento sono gestiti, controllati e divisi da appartenenti alla criminalità organizzata di stampo ’ndranghetista»

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