Abusivi in una casa dismessa
Il giudice: non sono colpevoli

Non è reato arrangiarsi quando si è poveri. Ecco la via giudiziaria ai diritti primari, come quello a un riparo dalle intemperie e dai pericoli della strada: l’ha tracciata il tribunale di Como nelle motivazioni di due sentenze di assoluzione

COMO - Non è reato arrangiarsi quando si è poverissimi. Ecco la via giudiziaria ai diritti primari, come quello a un riparo dalle intemperie e dai pericoli della strada: l’ha tracciata il giudice Maria Luisa Lo Gatto nelle motivazioni delle sentenze di assoluzione pronunciate a conclusione di due procedimenti a carico degli "ultimi", degli "invisibili" nella nostra città. Due motivazioni che saranno fatte proprie da coloro che si occupano dei senzatetto e della povertà estrema, ricche di richiami ai «diritti inviolabili dell’uomo» e all’«adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» contenuti nella nostra Costituzione e nelle pronunce della Cassazione, nella dichiarazione universale dei diritti umani e nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottato dall’Onu nel 1966.

Nessuno si aspettava tante pagine per motivare sentenze di un giudice togato e noto per grandi cause, sentenze a cosiddetti «processetti», pur nell’allarme sociale. Ma rappresentano prima di tutto uno spaccato di città e, secondo, un manuale per riflettere sui poveri non per compassione, né per indulgenza. Ma per giustizia: il giudice spiega che è giusto assolvere chi cerca riparo nelle dismesse proprietà altrui se è sospinto dallo stato di bisogno. Lo prevede la legge e la legge è stata applicata, non c’è un altro motivo. I due casi: i clochard che l’anno scorso hanno occupato abusivamente l’ex fabbrica diroccata di viale Innocenzo, ne hanno ricavato alloggi chiusi con catene e lucchetti. In due sono stati condannati a sei mesi per ricettazione di merce, ma in cinque sono stati assolti dall’occupazione abusiva. «Reato non perseguibile - scrive il giudice - perché gli imputati hanno occupato l’immobile solo perché spinti dalla pressante esigenza di procurarsi un alloggio sicuramente non adeguato a garantire quel minimo di dignità a cui ognuno dovrebbe aver diritto.

Ma quantomeno idoneo a prevenire il rischio di un imminente e grave danno alla persona». Per la persona, era il danno del freddo, della strada, dello sbando contro il danno dell’immobile e delle cose che conteneva: «Il valore del bene sacrificato, l’edificio - motiva - è inferiore rispetto al valore del bene salvato, la persona e la sua esigenza abitativa».
Sulla stessa traccia, la motivazione della sentenza di assoluzione per due giovani che si erano arrampicati su un ponteggio di un cantiere in via Di Vittorio e avevano preso i tubi. Li sorprese la polizia e furono arrestati. «Un’intrusione dettata dall’esigenza di costruire un rifugio di fortuna all’interno dello stabile in disfacimento»: la tesi della difesa è stata pienamente accolta dal giudice. Nessuna violazione di domicilio, nessun tentato furto e le motivazioni descrivono pure il degrado di certi angoli di città. Ma non trascurano l’affanno di chi ha beni da tutelare e infatti non si tratta di sentenze contro la proprietà privata. Anzi, il giudice sottolinea che non «può essere compromessa ingiustificatamente la tutela dei beni dei terzi». Solo lo stato di «necessità e di inevitabilità, in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate» salva dal reato di occupazione abusiva di uno stabile in decomposizione.
Maria Castelli

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