Sentieri da riscoprire:
una Ticosa a mille metri

Su "La Provincia" una serie di itinerari intorno al Lario a puntate. Il primo da San Maurizio a Castel d'Ardona, già colonia estiva per i figli degli operai dell'ex tintostamperia, ora ridotto a un rudere.

Da San Maurizio a Castel d'Ardona, passando per boschi e grotte. E' il primo di una serie di itinerari domenicali che da oggi vengono pubblicati su "La Provincia". Un'escursione da queste parti la fece anche Alessandro Volta, che con la curiosità che qualche anno dopo lo avrebbe portato a scoprire la pila, indagò alcuni profondi buchi nella montagna di cui ancora oggi non si trova traccia nella maggior parte delle mappe. «Ma pare che il grande scienziato si sia limitato a tenere la corda, mentre negli anfratti della terra si calava il suo amico Carlo Amoretti, appassionato di mineralogia», scherza, ma non troppo, una delle nostre guide, Antonio Bernasconi, capogruppo dell'Associazione alpini di Brunate. Fonte di questo aneddoto è una lettera che l'Amoretti scrisse da Urio, a una non meglio precisata «dama», il 28 agosto 1785 e che è finita nella rivista delle celebrazioni voltiane del 1899 e nel libro «Alessandro Volta Alpinista» di Mario Cermenati, edito sempre nel 1899 dal Cai di Torino.
La partenza del nostro itinerario è proprio ai piedi di un simbolo voltiano, il Faro di San Maurizio, costruito nel 1927 per celebrare la scienza e la fede, da un'idea del beato Luigi Guanella. Sulla piazza sottostante si può lasciare l'auto, anche se nei giorni festivi è certamente meglio salire a Brunate con la funicolare e poi arrivare qui con il pulmino navetta. Quindi si prende la mulattiera in salita, dietro la chiesa, degna anch'essa di nota per l'affresco del santo guerriero sulla facciata, ma anche perché sul finire della Belle Epoque le fu costruito attorno un edificio di stile nordico oggi adibito a civili abitazioni. Invece di inerpicarsi fino al Cao, da dove parte la dorsale del triangolo lariano battutissima dagli amanti del trekking, si prende una traversa in piano, sulla sinistra. E sempre in piano, passate un paio di baite private, avvolti dalle fronde degli alberi tra le quali ogni tanto si aprono incantevoli scorci, si arriva a una piazzola dove finisce la strada sterrata. Sulla destra, la roccia ha forma di arco: pare l'ingresso di un antro chiuso però da un porticina messa dagli uomini. A lato un tubicino di metallo da cui sgorga acqua sorgiva. È la Fonte del Pertugio. La nostra seconda guida, Rinaldo Ragazzi, presidente dell'Associazione volontari di Protezione civile «Gianni Bernasconi» di Brunate, ha le chiavi di quella porta. E spera che si trovino al più presto le risorse per sostituirla con un'inferriata, in modo che tutti possano vedere la meraviglia che c'è dietro: una grotta lunga quasi trenta metri. Incurvandosi appena un po' la si percorre tutta, fino a un muro di contenimento, oltre il quale si accumula l'acqua che da lì viene intubata. A parte il rivolo che sgorga a lato dell'ingresso, cui attingono per lo più i cacciatori e qualche proprietario delle baite più vicine, il grosso è convogliato a San Maurizio, in una vasca accanto al chiosco del parco Marenghi. Lì doveva essere realizzata una centrale di potabilizzazione, superata dall'allacciamento della zona all'acquedotto di Como. Così oggi è solo la Protezione civile a usare quell'acqua per spegnere eventuali incendi nei mesi invernali. «Ma all'inizio del Novecento - ricorda Bernasconi - serviva le ville e gli alberghi di San Maurizio».
Dissetarsi alla Fonte del Pertugio può essere utile per affrontare l'unico tratto in salita, che da qui, seguendo un sentiero poco marcato, evidente conferma della scarsa notorietà di questo tracciato tra gli escursionisti, in un quarto d'ora conduce al punto più alto della camminata: 1044 metri, solo 138 in più di quello di partenza. Siamo a un bivio, dove due frecce indicano rispettivamente "Baita Carla" e "Montepiatto". Seguendo quest'ultima, in un altro quarto d'ora di sentiero in lieve discesa, si arriva alla meta principale: Castel d'Ardona. La sua storia potete approfondirla nel libro «Storia del Castello d'Ardona sopra Torno» di Virgilio Grasselli (Editoriale Lombarda, 2003). I fuscelli che si vedono davanti ai pilastri del cancello di ingresso nelle cartoline del primo Novecento, ora sono due giganteschi frassini, che assieme a molti altri alberi rigogliosi hanno inghiottito le rovine del castello, un tempo visibile da Villa Olmo fino a Faggeto Lario. È solo per dovere di cronaca che ignoriamo un segnale di divieto d'accesso e un altro di pericolo. Sì, perché questo posto ha una storia significativa per Como e la sua provincia. La comitiva si anima: chi scherza dicendo che è una seconda Ticosa a mille metri (con riferimento al fatto che dal 1925 al secondo dopoguerra sia stato utilizzato come colonia estiva per i figli degli operai della tintostamperia) e chi ironizza sulla "villa di Berlusconi", in quanto il premier che ha a lungo cercato una dimora di gran lusso sul Lario è stato per alcuni anni proprietario, magari inconsapevole, di questo rudere, visto che dal 1984 risulta appartenere a Essebi distribuzione srl, catena di supermercati acquisita nel '91 dalla Fininvest e ceduta nel '98 a un gruppo tedesco.
È tempo di rientrare. Al bivio precedente, stavolta si segue l'indicazione "Baita Carla".

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