La piccola Scian Scii
e i massaggi cinesi

Un centro massaggi cinese, tanti uomini in coda e una ragazza che racconta che a lei non piace lavorare lì: "Io sono una brava ragazza. Dico no. Ma ho bisogno di soldi". Ma intanto i centri di massaggi cinesi sono una diventati una moda

COMO - «A me massaggi no piace. Qui solo old man. Young boy little, pochi ragazzi giovani. Però questo lavoro, faccio per soldi. Più soldi di ristorante. Però no piace. Dare soldi, toccare dappertutto, everybody. Non piace, meglio ristorante».
La massaggiatrice cinese parla poco l'inglese e appena appena l'italiano, ma ha solo 19 anni e vuole imparare. Perciò mentre picchietta i polpastrelli attorno al collo della cliente, fa qualcosa che di solito i cinesi non fanno: parla. Un po' in inglese e un po' in italiano, racconta la sua vita, quella di sua sorella che lavora in Spagna, quella dei genitori che sono rimasti a Shanghai e quella dello zio che lavora a Firenze «in fabbrica, ma a me fabbrica non piace perché lavori 16 ore, cinesi guardano solo soldi, io non voglio fare così, lavorare solo per soldi, a me piace ristorante». Dice che le piacciono i ragazzi italiani, le piace l'Italia. Quando i clienti le chiedono come si chiama risponde: «Katia». «Ormai sono in Italia, devo avere un nome italiano, Katia mi piace. Come nome cinese? Più difficile. Scian Scii».
Il centro massaggi cinesi, a Como, è comparso da pochi mesi proprio mentre i telegiornali rilanciavano il boom dei centri cinesi di Milano che in realtà sarebbero case di appuntamento. Fino a prova contraria sono voci, come quelle dei vicini di casa del centro comasco che vedono andare e venire quegli «old man», quei signori vecchi di cui parla Katia Scian Scii. Arrivano soprattutto alla sera e fuori ci sono le ragazze in minigonna e tacchi, non proprio il camice da massaggiatrice diplomata. Katia è una ragazzina, sarà alta un metro e 50 tacchi compresi. Indossa un sandalo fucsia con tacco dodici di plexiglass trasparente e una rosa sui listini. «Italiano», si illumina. E mostra la marca. Ha un paio di pantaloni attillati, una canottiera su un busto da bambina dal quale si vedono le spalline di un reggiseno di pizzo rosso porpora. I capelli sono corti a spazzola, gli occhi sono due fessure. Katia è sorpresa di avere una cliente donna. «Donne? Poche». Quando si apre la porta del centro, la boss, una signora cinese con i capelli lunghi è la prima a essere sorpresa della visita. «Mi fa male la spalla». Parlottano in cinese. «Un quarto d'ora 15 euro. Mezz'ora 30. Allora, mezz'ora». Poi arriva Katia: «Un'ora 35 va bene?». Aggiudicato anche se poi per finire i piedi mancheranno cinque minuti e quindi il conto sale a 40. Ride un po' in imbarazzo, Katia Scian Scii. Cerca di capire se le cliente vuole la stessa cosa che vogliono gli uomini.
«Vuoi il lavaggio nella vasca?». La vasca è in un'altra stanza. È di legno, fuori terra. La risposta però è: «No, no». «Ma com'è il lavaggio in vasca?». «Tu entri. Tanta schiuma». Ridacchia ancora. «Io lavo te». «No. No», conferma. È imbarazzata anche lei mentre lo chiede. È imbarazzata anche mentre racconta, senza neanche essere interrogata che quel lavoro non le piace: «Uomo. Nudo. Capito? Nudo. A me non piace. Però io lascio mutande. Però no piace». In un'ora di massaggio in uno di quei centri massaggi cinesi che vanno di moda adesso e che a Milano nascondono case di appuntamenti, Katia parla tanto. Anche perché è lì di passaggio. Se ne andrà fra una settimana. A Varese, in un altro centro. «Mamma papà non sanno che lavoro qui. Non piace. Mia sorella arrabbiata. Ma io sono qua per i soldi. Se prendo dieci euro, 6 alla boss, quattro a me. Dieci euro a Shanghai diventano 200». Ecco la risposta al perché i cinesi vengono a lavorare in Europa. «In Italia tanti. Milano tantissimi. Io ero a Venezia. Lavoravo ristorante. Molto bella Venezia. Grande città». Hai chiesto se ci sono posti nei ristoranti qui. «No posto». «Qui no piace. Poco lavoro. No piace. No piace massaggi». Non ha fatto una scuola Katia. E se avesse i soldi per farla le piacerebbe studiare lingue. È che non ha né soldi né tempo. «Difficile conoscere ragazzi italiani. Io qui dalle 10 del mattino alle 11 di sera. Dormo da boss, tre ragazze siamo. Dormiamo da boss, qui vicino». Katia stende l'olio Johnson e massaggia. Sale sul lettino quando arriva alla schiena e si mette a cavalcioni, senza appoggiarsi, man mano prosegue. Sul muro ci sono i prezzi del centro. C'è il lavaggio nella vasca, e quello con due professionisti. Ci sono massaggi di tutti i tipi, e prezzi che oscillano tra i 35-45-60. «Devi provare piedi. Quarantacinque minuti. Prima lavaggio acqua sale. Poi massaggio. Io faccio sempre a me tutte sere. Piace. Tanti centri Shiatsu». Fanno un male della malora, i centri Shiatsu dei piedi. Niente a confronto delle spalle.
Arriva l'ora di pranzo. «Mangi?». Ora no. «No mangiare ora». «Mangi quando?». «Sera. Riso. Solo riso. O pasta. Piace riso. Ai cinesi. Piace cibo cinese?». Elencare i piatti preferiti del cinese della città non serve. Scianscii non si illumina. Quel che mangiano gli italiani nei ristoranti cinesi non corrisponde a quello che mangiano i cinesi. Questo è certo. Giusto i ravioli e il riso combaciano, ma tutto quel che sta intorno è molto più elaborato di quel che finisce nelle pance di queste ragazze, tutte sottili. «Cinesi piace riso». «Italiani pizza. Conosci pizza». «Si pizza. Ristorante dove lavoravo a Venezia. Tutti pizza. Ma pizza ha formaggio, più grasso di riso». Katia vuol studiare le lingue e vorrebbe imparare a nuotare. «Dove si nuota. Quanto costa?». Conosce un ragazzo che parla bene cinese, italiano. «Ma lui sempre lavoro. Come me». Parla di tutto, ma poi torna sui massaggi e stavolta cambia versione: «Uomini offrono me soldi. Dicono touch here, tocca qui. Ma io dico: no. Io sono una brava ragazza. No fare. Capito. No fare». «Altre ragazze fanno?». «I don't know. Ma uomini chiedono sempre quello». Dall'altra sala si sente la voce di un uomo. Il sipario si chiude qua.
Anna Savini

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