Beffa Ticosa a Como:
"Processo e niente soldi"

Il 7 dicembre suo fratello Roberto, legale rappresentante dell'azienda, finirà sul banco degli imputati nel processo sulla ex Ticosa. Lei, Alessia Binda, è socia dell'impresa di famiglia e parla per «senso di responsabilità e per rassicurare i dipendenti, preoccupati del loro futuro».

COMO Il 7 dicembre suo fratello Roberto, legale rappresentante dell'azienda, finirà sul banco degli imputati nel processo sulla ex Ticosa. Lei, Alessia Binda, è socia dell'impresa di famiglia e parla per «senso di responsabilità e per rassicurare i dipedenti, preoccupati del loro futuro». E dice di sentirsi anche beffata: «L'Asl ha emesso il certificato di restituibilità dell'aria - spiega - dicendo che non c'era amianto o materiale pericoloso. La Perego Strade, che ha eseguito le opere di demolizione, ha fatto analizzare la guaina e l'esito era stato negativo. Avevamo il certificato dell'Asl che diceva "procedete pure perché l'aria è pulita" e Perego che aveva fatto analizzare la guaina per essere più certo. E da lì son partite opere di demolizione non fatte da noi, ma dalla stessa Perego». Però la guaina con l'amianto crisotilo è stata trovata come documentato anche dai carabinieri del Noe. «La presenza di amianto - aggiunge Binda - ci è stata comunicata dopo diverse settimane dalla fine lavorazioni. L'abbiamo appreso dalla stampa. All'epoca non era nostro compito accertarci della presenza di materiale inquinante, se non attraverso i documenti che ci sono stati forniti dagli enti preposti. Il nostro compito era soltanto quello di ridurre volumetricamente il materiale senza toccarlo né prima né dopo la riduzione. Noi abbiamo semplicemente dato a noleggio l'impianto di frantumazione dove la Perego Strade doveva inserire il materiale proveniente dalle demolizioni certificato come pulito e riaccatastarlo poi dopo la riduzione nuovamente in cantiere, visto che da quanto si pensava avrebbe dovuto essere riutilizzato sul posto». Per il noleggio dell'impianto di triturazione, Binda ha fatturato «circa 20mila euro». Ma la beffa è che quei soldi non li ha mai potuti incassare. «Non li ho mai visti - aggiunge l'imprenditrice - perché poi Perego Strade (che aveva subappaltato la frantumazione a Binda, ndr) è fallita. Siamo nell'elenco dei creditori. E poi per 20mila euro di compenso non c'era un margine tale da creare un danno da 700mila euro». Binda comunque andrà in tribunale per difendersi e dimostrare che è stata «l'ultimo anello della catena». E ripete che «c'erano tutti i certificati». «La guaina - dice - era stata analizzata poi era stata smaltita a parte direttamente da Perego. Era rimasta la parte incollata alla struttura del fabbricato. O meglio, la guaina è stata rimossa e conferita agli organi competenti da Perego, ma una parte rimane per forza di cose attaccata ai muri del fabbricato da demolire, ma ha una tollerabilità assolutamente accettata dalla normativa perché impossibile da staccare. In più era stata ritenuta pulita e quindi problemi non ne son stati riscontrati». E ancora: «Noi la guaina non l'abbiamo tritata, non possiamo dire se qualcuno avesse lasciato in cantiere la guaina delle demolizioni perché non le abbimo fatte noi. Nell'impianto di frantumazione non è andata, se non quella attaccata all'edificio, ma impercettibile.Per assurdo se frantumo materiale pulito e poi qualcuno nel movimentarlo butta in mezzo altro, io non posso saperlo».
Sulla vicenda ora c'è la lente di ingrandimento della magistratura e, il 7 dicembre, si avvierà il processo. Il Comune si costituirà parte civile, come deciso dalla giunta di mercoledì e comunicato dall'ufficio stampa, nel procedimento legale che vede imputato Binda «per aver frantumato e macinato i rifiuti provenienti dall'area Ticosa e di averli indicati quali miscugli o scorie di cemento mentre gli stessi contenevano anche una guaina in cui era presente amianto nella varietà crisotilo».
Gisella Roncoroni

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