De Sfroos e "Yanez"
Un album atto d'amore

Quindici nuovi brani, dal tono rilassato e romantico, ma anche malinconico nel disco presentato da Bernasconi e dedicato al padre

Davide Van De Sfroos lo aveva anticipato nelle interviste, numerosissime, che rilasciate durante i giorni fatidici di Sanremo: Yanez, l'album, non è certo tutto come Yanez, la canzone. Quella scelta da Morandi e Mazzi per partecipare al Festival è allegra quanto basta, una piccola summa di quanto ha realizzato finora, fresca, adatta al clima del Teatro Ariston tanto da piazzarsi al quarto posto e risalire le classifiche fino al terzo. Ma non ci sono molti brani così nel disco che l'artista lariano ha presentato ufficialmente ieri mattina a Villa Geno. Sono ben quindici i nuovi brani, in gran parte realizzati in casa e poi rifiniti in studio, nel clima rilassato e senza pressioni di chi non sapeva ancora che, un giorno, il ragazzo “che amava i Beatles e i Rolling Stones” avrebbe bussato alla sua porta.
Bernasconi, invece, ama Johnny Cash, Woody Guthrie, Robert Johnson e Jimi Hendrix, i fantasmi che fanno compagnia al Camionista ghost rider che al ritmo di una country ballad con tanto di banjo marca i punti cardinali delle influenze musicali del disco più romantico di Bernasconi. Abbondano i ritratti femminili: quello solenne di Dona Lüseerta, quello che esprime un amore solo immaginato cui è bello dare il nome Maria, quello di una donna che ti raggiunge con El pass del gatt, quello dell'irraggiungibile Figlia del tenente, quello di un'intensità pressoché insostenibile, Ciamel amuur. Gli aromi mediterranei di Yanez si ritrovano tra le strade dove sfila El carnevaal de Schignan, scanzonata ma mai quanto Setembra (che nomina perfino “Il ballo del qua qua”: quando uno è poeta può permettersi di citare quello che gli pare). Due pezzi rimandano al passato: con Long John Xanax si torna dentro al Manicomi per un racconto di estrema sincerità, La machina del ziu Toni, evoca l'ascolto di Rolling Stones, Ramones e Black Sabbath sul sedile posteriore. Introspettiva anche Il reduce, introdotta da una tromba che piacerebbe a Morricone mentre Il blues di Santa Rosa è sorretto da una solidissima chitarra. A Rosa del vento, invece, basta la delicatezza di un'acustica e la forza della voce di Van De Sfroos, sempre più matura.
Nessuna concessione, come qualcuno “temeva”: poco italiano, molto dialetto e, in effetti, la lingua ufficiale sembra carente quando si tratta di descrivere questi pezzi. Bisogna ascoltare Dove non basta il mare per capirla: è una sorta di solenne inno pan-vernacolare con gli ospiti Luigi Maieron, Patrizia Laquidara, Beppe Voltarelli e Roberta Carreri che cantano, rispettivamente, in friulano, in siciliano, in calabrese e perfino in greco. Yanez è stato prodotto dall'artista stesso con Alessandro Gioia che dà il suo fondamentale contributo anche come arrangiatore assieme al violinista Angapiemage Galiano Persico. La squadra di collaboratori è vasta ma lo zoccolo duro, oltre ad Anga e a Davide “Billa” Brambilla alla fisarmonica e alla tromba, è completato dalla stessa squadra che ha poi toccato il cielo di Sanremo, Paolo Legramandi al basso e Marcello Schena alla batteria. Alle chitarre si alternano bluesmen come Francesco Piu, Robi Zonca e Maurizio “Gnola” Glielmo. Se Pica! era un album in technicolor, Yanez è un disco dai toni seppiati che non mancherà di stupire non solo chi ha scoperto l'artista grazie al Festival, ma anche chi da tempo lo segue.
Alessio Brunialti

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Eco di Bergamo Davide presenta Yanez