Un timbro falso
tradisce Pennestrì

Conti in rosso, spese fuori controllo, l'Agenzia delle entrate alla porta e il rischio concreto che alla fine le banche avrebbero chiuso per sempre i rubinetti. Nel tentativo di salvare la Comense, il presidente avrebbe fatto davvero carte false.

COMO Conti in rosso, spese fuori controllo, l'Agenzia delle entrate alla porta e il rischio concreto che alla fine le banche avrebbero chiuso per sempre i rubinetti.
Detto che non risulta che il presidente della Comense Antonio Pennestrì sia già stato sentito dalla Procura e che, per il momento, l'inchiesta è ancora in corso (avrà tempo e modo per difendersi ed eventualmente per dimostrare la propria estraneità alle contestazioni), dalle pieghe dell'indagine che lo riguarda emergono alcuni dettagli che rendono la sua posizione particolarmente delicata.
Lo sfondo è sempre quello della Comense, società guidata per 27 anni tra bassi (pochi)e alti (moltissimi):nel tentativo di salvare i conti di via dei Partigiani, il presidente avrebbe fatto davvero carte false. È per esempio un timbro a incastrarlo, il timbro di una impresa edile falsificato e apposto su una fattura datata 2008, relativa a spese che la società non avrebbe in realtà mai sostenuto.
Quel documento contabile, lo scorso autunno fu contestato ai legali rappresentanti dell'impresa, che non ne trovarono traccia nella propria contabilità. A mostrarglielo furono i funzionari dell'Agenzia delle Entrate, reduci da una ispezione nello studio di Pennestrì e nella sede della Comense. Il timbro recava un simbolo dell'azienda nuovissimo, adottato dal 2011, e che per questo non poteva ovviamente essere stato apposto su una fattura di quattro anni prima. D'altra parte, non fosse bastata la controprova del marchio, non risultava neppure che le banche avessero registrato rimesse corrispondenti.

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