Bonsai e false fatture
Maxi evasione a Bulgaro

La Procura contesta finte compravendite per 55 milioni di euro. A processo il titolare di un vivaio: «Così lucrava sull'Iva»

BULGAROGRASSO Volete diventare ricchi? Niente di più facile. Basta dotarsi di un paio di fatture ben compilate, caricarci cifre un po' sostanziose, presentare un'acconcia dichiarazione dei redditi e aspettare di recuperare l'Iva.

Qualcuno potrebbe obiettare che non si tratta di un sistema del tutto inedito, e che le cancellerie dei Tribunali traboccano di fascicoli avviati su questa pratica diffusissima, ma è evidente che le statistiche non dissuadono nessuno. Se è vero infatti quel che sostiene la Procura della Repubblica di Como, nell'ambito di un processo di cui ieri si è celebrata la penultima udienza, a Bulgaro c'è qualcuno che, di false fatture, ne ha prodotte due, battendo - almeno a livello locale - un piccolo record: si parla di un totale di 55 milioni di euro, 22 più 33, che avrebbero consentito di ricavare rispettivamente quattro milioni e 400mila euro e sei milioni e 700mila euro d'Imposta sul valore aggiunto.

Il negozio di ottica
<+tondo>L'imputato del processo si chiama Fabio Annoni ed è il responsabile di una ditta individuale, la "Tutto bonsai" di via Cimarosa. Ieri, in aula, davanti al giudice Valeria Costi, ha testimoniato il funzionario dell'Agenzia delle entrate che a suo tempo svolse le indagini, risalenti al luglio scorso, ma riguardanti l'anno d'imposta 2008. La prima fattura, da 22 milioni, fu emessa da una fantomatica società immobiliare, la "Ar Immobili" di Novellina Bordignon, società che risultò poi inesistente.

La signora Bordignon, che fino a qualche anno fa, e prima della pensione, gestiva con il marito un piccolo negozio di ottica a Limbiate (Monza), ieri era in aula a testimoniare, tra lo sconvolto e l'incredulo: «Non conosco Annoni, né ho la più pallida idea di che cosa sia questa fattura» ha risposto al giudice che le mostrava la documentazione contabile. L'ipotesi della Procura (pubblico ministero Massimo Astori) è che l'imputato, o qualcuno per lui, possa avere preso "in prestito" il nome della signora per compilare quella fattura.

L'altra, invece, risulta emessa da un'ulteriore ditta individuale, intestata però alla madre di Annoni, per un importo di 33 milioni di euro.

Il container dal Giappone
Ecco quello che, a questo proposito, ha aggiunto il funzionario delle Entrate: «Si parlava dell'acquisto di un fantomatico container in arrivo dal Giappone, di cui non siamo riusciti a trovare nessuna traccia. Mi spiegarono che era roba cinese, ma in realtà non risultava alcun tipo di pagamento, alcun genere di documentazione extracontabile. Niente di niente... La verità è che lo scopo di quelle fatture era soltanto quello di lucrare un importo Iva inesistente, che poi, in realtà, l'imputato non ottenne».

Chiusa l'istruttoria, il processo è stato rinviato a lunedì 14 gennaio, data per la quale è anche attesa la sentenza.

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