Dall'America una lezione di civiltà

Dice Romney, sfidante di Obama: «Credo nell'America e negli americani, volevo guidare il paese verso il cambiamento, ma ha scelto un altro leader. Lavoriamo insieme per il bene di tutti». Questo dopo mesi di campagna elettorale. Mai sentito un politico italiano dire lo stesso. Dell'Italia e degli italiani non gli interessa, basta che siano salvi i loro stipendi e privilegi.

Gianfranco Longhi

In America c'è un amor patrio sconosciuto agl'italiani. Durante la campagna elettorale i sostenitori dei due candidati sventolavano sempre una bandierina degli Stati Uniti. Da noi c'è chi ha governato per anni rinnegando il tricolore e ieri l'altro ha votato contro l'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole. Là, quando si va alle urne, circola la consapevolezza di farlo nell'interesse generale del Paese; qui, molto spesso, prevale la tentazione di farlo per comodo particolare della fazione. Là le regole sono chiare, i verdetti riconosciuti. Qui regna una calcolata confusione: vince qualcuno, ma a perdere non è mai nessuno. E la colpa delle disfatte viene cronicamente imputata ad altri: niente professione d'umiltà, niente riconoscimenti d'errori. L'America, con i suoi mille difetti, rappresenta una democrazia compiuta, l'Italia l'eterna incompiuta di non si sa bene che cosa. Un peccato, perché non ci mancano intelligenze e genialità, e neppure un popolo che nella sua maggioranza crede in valori positivi. Ma non trova il modo (le persone) in cui trasferirli e poter dire: ci indentifichiamo in questa designazione. Ecco perché, alla fine, gl'italiani preferiscono identificarsi in se stessi, celebrando lo zenith dell'individualismo.

Max Lodi

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