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Martedì 19 Febbraio 2013
L'unica pièce di Elsa Morante
è al Piccolo 45 anni dopo
A pochi mesi dalla conclusione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Elsa Morante, da stasera (martedì 19 febbraio) fino al 3 marzo, il Piccolo Teatro Grassi di Milano ospita "La serata a Colono", unica opera per il teatro della scrittrice romana che si ispirò all'"Edipo a Colono" di Sofocle
Pubblicato quartantacinque anni fa, nell'ormai lontano '68, in "Il mondo salvato dai ragazzini", una miscellanea che contiene componimenti in versi, canzoni e altri scritti, il testo teatrale non è mai stato rappresentato, fino a oggi.
Ora, è Mario Martone, regista e sceneggiatore napoletano, ma soprattutto intellettuale vero del nostro panorama artistico, a firmare la regia di questo allestimento, mentre sarà in scena Carlo Cecchi - amico personale di Elsa Morante - Antonia Truppo e Angelica Ippolito.
Un'altra chicca sono le musiche che sono state composte dal premio Oscar Nicola Piovani e che vengono eseguite dal vivo dal tastierista Francesco De Giorgi e dal percussionista Andrea Toselli. Sul palcoscenico milanese, Cecchi interpreta dunque Edipo, mentre Antonia Truppo è la figlia dell'infelice re di Tebe, Antigone. Angelica Ippolito ha il ruolo di una suora e a questo terzetto si aggiunge un coro di sette attori.
"Edipo a Colono" di Sofocle racconta gli ultimi anni di vita di Edipo che, dopo aver scoperto la sua infelice sorte, come uccisore del padre e sposo della madre, si è accecato e vaga con Antigone, fino ad arrivare a Colono. Morante riprende l'idea del tragediografo greco e vede Edipo come un vecchio malato, afflitto da sindrome paranoide. La scena è ambientata nel Novecento, e precisamente nel 1960.
Siamo all'interno di un grande ospedale e qui, «in un corridoio attiguo al reparto neurodeliri», il protagonista è legato a una barella con occhi e fronte bendati da garze. Al suo risveglio, l'uomo mostra di delirare perché si identifica con Edipo. Tutta l'ordinaria realtà che lo circonda diventa, in una sorta di sogno - visione, lo specchio in cui si riflette la storia del re di Tebe, reietto e inconsapevole portatore di una maledizione terribile.
Comincia, per il degente e per gli spettatori, un viaggio personale, collettivo e metateatrale tra realtà e letteratura, tra storia e mito. Si recupera la dimensione favolosa della tragedia sofoclea, del destino dell'uomo e come archetipo del nostro immaginario collettivo. Non mancano riferimenti dalla filosofia indiana a Hölderlin, dalla mistica Sufi ai poeti della Beat Generation. Non è soltanto un omaggio all'autrice di "La Storia" e "L'isola di Arturo", ma una vera sfida.
Sara Cerrato
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