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Sabato 28 Febbraio 2009
An e Lega contro il detenuto:
«Ritorni in Egitto, non qui»
Arrestato nel 2001 in Afghanistan, El Sharif (residente in via Turati) è ancora negli Usa
Butti: «Se nessun Paese lo ospita ci sarà un motivo». I lumbard: «Serve tolleranza zero»
«Se nessun Paese lo ospita con quel trascorso - tuona il presidente provinciale di An, il senatore Alessio Butti - non vedo perché lo debba fare l’Italia. Lo trasferiscano nel suo paese di origine, ovvero l’Egitto visto che non è cittadino italiano. Uno non va in Afghanistan, in quel momento storico, in gita. Se è stato là e poi a Guantanamo, un motivo ci sarà. La cosa è molto seria, sarebbe opportuno che il ministero degli esteri si adoperasse per rimandarlo in Egitto. Non è questione di accanimento, ci saranno delle ragioni se nemmeno gli altri lo accolgono. Se poi lo zio proprio vuole può seguirlo in Egitto».
Ancora più duro il segretario cittadino del Carroccio, Angelo Sala: «Chiediamo che se ne torni a casa, in Egitto, perché in Italia e a Como non è gradito. Se è finito in una prigione di massima sicurezza ci sarà una ragione. Per noi è tolleranza zero, non prendiamo nemmeno in considerazione che possa tornare in via Turati».
Sala torna indietro a un passato recente, alla moschea di via Pino (sigillata nel dicembre del 2005 dopo una lunga battaglia a suon di manifestazioni dei lumbard) e guarda al quartiere attorno e alla vicinissima via Turati: «Abbiamo sempre detto che in via Pino c’erano dei problemi di sicurezza. Prima le espulsioni, ora questa vicenda. Tutto questo non fa che avvalorare la nostra tesi: non è casuale che in quella zona si siano registrati fenomeni preoccupanti. Oggi siamo dello stesso avviso di allora. Pronti a battagliare mettendo in campo tutto quello che potremo». E sul possibile arrivo dell’ex imbianchino di via Turati non ha dubbi: «Il Nord ha già dato su questi temi, no anche ai soggiorni obbligati. Non saremo la pattumiera d’Europa».
Il nome di Sherif El Meshad era balzato alle cronache legato anche all’algerino Chaabane Bourouche, ospitato per mesi proprio a casa dell’imbianchino di via Turati arrestato dai marines in Afghanistan. Bourouche, lo ricordiamo, era stato rimpatriato dalla questura per motivi di «pericolosità sociale».
La vicenda che riguarda i detenuti di Guantanamo e che gli Stati Uniti vorrebbero mandare nell’Unione Europea è delicatissima. Giovedì a Bruxelles ne hanno discusso i ministri dell’Intero dei diversi Paesi. Il titolare del Viminale, Roberto Maroni, aveva invitato alla «prudenza». Esplicito anche il presidente di turno, il ministro dell’Interno ceco Ivan Langer: «Dobbiamo sapere prima di tutto che cosa vogliono gli americani ed è chiaro che nessun paese può essere obbligato ad accogliere questi detenuti. Siamo responsabili per la sicurezza e dobbiamo avere tutte le informazioni prima di potere avanzare delle raccomandazioni».
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha precisato di essere «in attesa che ci sia dato un chiarimento sul tipo di prigionieri liberati che ci verrebbe richiesto di ospitare in Italia».
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