"Libereremo Sherif
da Guantanamo"

Il bilancio della missione comasca di Chris Chang, investigatore inglese dell’associazione Reprieve, ripartito per Londra dopo aver raccolto documentazione e prove sulla vita di Sherif El Meshad, 32enne egiziano residente in via Turati fino all’estate del 2001

COMO «Portare via Sherif da Guantanamo? Adesso, dopo questi due giorni di lavoro a Como sono ottimista. Il bilancio è più che positivo ed è la prima volta che riusciamo a trovare tutti i riscontri di quello che il detenuto ha raccontato ai nostri legali». È questo il bilancio della missione comasca di Chris Chang, investigatore inglese dell’associazione Reprieve che si occupa di offrire assistenza legale ai condannati a morte e che segue anche il caso del supercarcere statunitense. Chang è ripartito ieri per Londra dopo aver raccolto documentazione e prove sulla vita di Sherif El Meshad, 32enne egiziano residente in via Turati, a pochi passi dalla ex moschea di via Pino, fino all’estate del 2001 quando partì per un viaggio in Afghanistan e finito in una cella di isolamento a Guantanamo. Cella dove Sherif si trova ormai da otto anni.
Due giorni a capofitto nella vita italiana di Sherif. Cosa ha ricostruito e dove è stato?
Sono stato in via Turati, dove viveva, e lì ho incontrato i suoi ex compagni di appartamento. Tutti ne hanno parlato bene dicendo che era un gran lavoratore perché mandava regolarmente soldi a sua madre in Egitto. Poi sono stato in alcune ditte dove ha lavorato: alcuni titolari mi hanno anche consegnato una testimonianza scritta di quello che faceva. Ha lasciato un buon ricordo e persino dove era stato solo qualche mese era stato in grado di instaurare rapporti umani, pur essendo un ragazzo molto timido.
E come hanno reagito i comaschi quando avete chiesto informazioni su di lui visto che finora la sua figura è sempre stata associata al terrorismo?
Sono rimasto sorpreso. Tutti hanno chiesto per prima cosa come sta - fisicamente e psicologicamente - Sherif, se avevo qualche foto e c’è anche mi ha lasciato messaggi da fargli avere se possibile. C’è stata grande disponibilità: chi si è impegnato a cercare documentazione, buste paga, fatture. Insomma tutto quello che può servire per aiutarlo nell’audizione che avrà il 14 settembre davanti ai giudici.
Come sta Sherif?
Nell’ultimo hanno ha incontrato i miei colleghi del settore legale quattro o cinque volte. L’ultima circa quattro settimane fa, quando ha fornito tutte le informazioni che sto verificando qui a Como. Adesso è in una cella isolato e per lui è stato ed è molto difficile.
Cosa ha detto ai legali?
Per lui la situazione è molto pesante. Non ha praticamente contatti con gli altri prigionieri e sia fisicamente che mentalmente è provato anche perché era una persona sportiva, iscritta a una palestra, con un lavoro attivo. A questo si aggiunge il fatto che Sherif parla un ottimo inglese e, per questo, è tenuto separato dagli altri: così i militari evitano che possa capire qualcosa e riferirlo ai compagni di prigionia.
È stato torturato?
Evitiamo la parola tortura. Non è libero di raccontare perché i colloqui con gli avvocati sono controllati. È controllato da un gruppo chiamato "Emergency reaction force", composto da cinque - sei militari che sono i responsabili della disciplina. E disciplina sappiamo cosa significa. Ha avuto diritto a una telefonata all’anno.
Ma come si svolgerà l’audizione del 14 settembre?
È una possibilità per dimostrare che non è un "nemico combattente". Ci sarà un incontro tra i giudici e gli avvocati in cui si analizzerà tutta la documentazione che stiamo preparando. Ovviamente noi chiederemo che venga rilasciato e speriamo di portarlo via da Guantanamo. Stiamo concentrando sul suo caso tutte le forze proprio perché c’è l’opportunità del 14: lì non saranno i militari a dover provare le accuse, ma lui dovrà dimostrare che quello che ha dichiarato è vero.
Sono otto anni che Sherif è a Guantanamo. Dopo quanto tempo ha potuto parlare con un avvocato?
Lui è lì dal 2001 e fino al 2004 nessun avvocato è entrato a Guantanamo. Per anni, quindi, non ha visto nessuno. E nessuno sapeva che lui era lì. La stessa famiglia l’ha saputo dopo anni e grazie all’intervento della Croce Rossa che ha identificato i prigionieri. A Como i suoi amici e i datori di lavoro l’hanno saputo leggendo il giornale.
A Como avete sezionato la vita di Sherif. Chi era?
Una persona normalissima, arrivata in Italia regolarmente nel 1997. Pagava le bollette e le tasse, aveva una partita Iva, un’auto (ora rottamata). Non è mai stato disoccupato e un gran lavoratore. La vacanza in Afghanistan per aiutare i rifugiati è stata la sua sventura: era partito per quel Paese con un normale visto, come farebbe qualsiasi turista. Mentre era là l’attentato alle Torri gemelle ha cambiato tutto e lo ha portato a Guantanamo, ma non c’è alcuna prova e nessuna accusa contro di lui.
È fiducioso sull’esito dell’audizione?
Dopo questi due giorni a Como sì. Speriamo davvero di riuscire a farlo uscire dal carcere. Per ora non è importante, e non se n’è nemmeno parlato, dove andrà e se tornerà in Italia. Noi ci battiamo per liberarlo perché non è né un terrorista né un "nemico combattente". È solo una persona che aveva una vita normale.
Gisella Roncoroni

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