Cerro toglie il sonno
al papà del Dadone

Sentenza di primo grado decisamente amara per la truppa comasca già socia di Paolo Berlusconi. La quarta sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato con l’accusa di peculato - ai danni del Comune di Cerro Maggiore - sia Giovanni Butti (conosciuto, a Como, come il "papà" del Dadone di via Ambrosoli) che Luciano Gilardoni

COMO I grattacapi giudiziari per i commercialisti comaschi Giovanni Butti e Luciano Gilardoni legati alla discarica di Cerro Maggiore sembravano terminati definitivamente quattro anni fa, quando la prescrizione aveva cancellato i reati che la procura di Milano aveva contestato loro. In realtà esisteva ancora una tranche di quell’inchiesta che, molto lentamente, si è trascinata fino a una sentenza di primo grado decisamente amara per la truppa comasca già socia, in passato, del fratello del premier, Paolo Berlusconi. La quarta sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato con l’accusa di peculato - ai danni del Comune di Cerro Maggiore - sia Giovanni Butti (conosciuto, a Como, come il "papà" del Dadone di via Ambrosoli) che Luciano Gilardoni. Ma non solo loro, perché la condanna del giudice ha colpito anche il genero di Butti, Maurizio Critelli, e Giampiero Pini, accusati di aver aiutato i primi due a schermare i soldi all’estero.
Per Butti la condanna di primo grado è stata di quattro anni e mezzo; tre anni e otto mesi per Gilardoni; tre per Critelli e due anni e otto mesi - infine - per Pini.
La vicenda, strettamente collegata con le vicissitudini giudiziarie della discarica di Cerro Maggiore, si riferisce alla vendita dell’energia prodotta con il biogas della discarica all’Enel e il trasferimento su società estere - riconducibili agli imputati - di parte di questi ricavi.
Stando all’accusa la Simec, la società che gestiva lo smaltimento dei rifiuti, non avrebbe incassato direttamente i soldi da Enel, bensì ha stipulato un contratto con la Energeco, una srl partecipata per il 90% da una fiduciaria di Lugano (e che si è costituita parte civile contro gli imputati di questo processo) la quale aveva noleggiato l’impianto per la trasformazione del gas in elettricità dalla società Enginelarge Limited, con sede a Londra. Quest’ultima - è la tesi accusatoria - lo aveva acquistato con soldi provenienti dalla stessa Simec e passati da conti esteri di altre due società, la Sharpshape e Serenade Corporation, con sede nelle isole Mashall. Una complessa triangolazione che avrebbe consentito di stornare la stragrande maggioranza degli introiti provenienti dall’Enel all’estero, lasciando alla Simec soltanto le briciole. Così facendo gli imputati sarebbero riusciti ad accumulare una ventina di milioni di euro all’estero, su conti in Svizzera, a Montecarlo e ad Hong Kong, il tutto a danno del Comune di Cerro Maggiore che, non a caso, si è costituito anch’esso parte civile nel procedimento e che, quindi, potrà ora richiedere il risarcimento del danno.
I fatti oggetto del processo si riferiscono in ogni caso a diversi anni fa e rischiano, presto, di cadere in prescrizione.
P. Mor.

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