Al tifoso la polenta
piace per forza

Attenzione a dire «mi fa schifo la polenta». Specie se si è all’interno di uno stadio di calcio e se, dalle quelle parti, si è appostata una delle vecchie volpi della procura federale della Figc (ce l’immaginiamo già: impermeabile alla tenente Colombo, sciarpetta scozzese e cappello calato sulla testa).

Per la giustizia sportiva, scatterebbe l’accusa di discriminazione territoriale (grave, pare, come quella razziale). Se poi vi scappasse anche un «viva il missoltino», sareste fritti (e il pesce del lago stavolta non c’entra). La squalifica di un turno, con chiusura della curva, non ve la toglierebbe nessuno. Quel che è accaduto al Como ha, a dir poco, del paradossale. I fatti, prima di tutto, giusto perché lo capisca anche a chi non mastica calcio (ma mangia sia polenta sia missoltini). I tifosi azzurri, sabato scorso all’Azzurri d’Italia, si sono lasciati scappare (in 50 su 100, ha precisato l’uomo della procura) un “odio Bergamo” che deve aver fatto tremare polsi e tempie non soltanto ai sostenitori dell’Albinoleffe.

Offesa delle offese, forse. Ma roba che non avrebbe trovato spazio nemmeno nell’Eccezzziunale… veramente di Diego Abatantuono e che però ha fatto saltare sulla scrivania il giudice sportivo della Lega Pro, alla lettura del rapporto arbitrale e del commissario di campo. Lesa maestà, nel senso della bellissima città di Bergamo, e chiara discriminazione territoriale: una giornata di squalifica alla curva, che dovrà chiudere.

Meno male che, nel delirio generale, almeno per la prima volta scatterà la condizionale, che congela il provvedimento per un anno. Dovesse ripetersi, però, giù la mannaia e una multa che, per le società professionistiche come il Como, può arrivare a cinquantamila euro. Come l’acqua sui fiori riguardasse Juve, Inter o Milan; autentica condanna se colpisse club che fanno una fatica bestiale a tirare, se non il fine mese, almeno il fine stagione.

Se non siamo alla follia, poco ci manca. In un campionato nel quale la divisione è territoriale, qui si rischia di morire proprio per discriminazione… territoriale. E, tra le tifoserie di due città del pieno “Bossiland” come sono Bergamo e Como, confondere il normale e antichissimo sfottò da stadio con un gesto discriminatorio, fa buttar via la testa.

Se poi proprio vogliamo fare uno sforzo ulteriore e pensare al calcio come una cosa seria, avanti di questo passo si potrebbe arrivare a inquadrare il provvedimento come una maldestra operazione studiata ad arte per fare cassa. Usando, cioè, le società come bancomat con una sanzione a partita. Più un pericolo ancor più serio all’orizzonte: consegnare le società stesse nelle mani dei tifosi. Ostaggio, quindi, di coloro che, già magari da domani nell’anticipo interno con la Reggiana, potrebbero cominciare a prendersela con l’avversario e far scattare squalifica e multa.

Non ci salveremmo più. Soprattutto non riusciremmo più a mandare gente allo stadio. Altro che piani per avvicinare le famiglie e far diventare lo stadio un luogo d’incontro. Qui se basta un’imprecazione (una che faccia diventare identificabile l’obiettivo) per fermare il cinema, siamo davvero alla frutta. Rimanendo però nel generale, non di più. Perché se scattasse un “che schifo i limoni” e si giocasse con la Salernitana, curva subito chiusa.

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