Il rapitore di Cristina Mazzotti:
"Venti milioni per portarla via"

Dopo la svolta, grazie alle nuove tecnologie che stanno riaprendo i "casi freddi", il capo del gruppo che mise a segno il sequestro, nei verbali racconta di come fu ingaggiato e come agì quella sera  del 1975

Ha fatto rumore la riapertura del dossier sul rapimento e la morte di Cristina Mazzotti. Dopo trentatré anni la polizia ha identificato il capo del gruppo di sequestratori che la sera del 26 giugno 1975 rapirono la giovane, figlia di un industriale, Cristina Mazzotti, figlia di Helios, industriale milanese con casa a Eupilio, nella Brianza comasca.
Si tratta di Demetrio Latella, 55 anni, in regime di semilibertà dal 2006, mezza vita spesa in galera. Ha confessato, indicando peraltro i nominativi dei due complici che lo seguirono e che, con lui, fermarono armi in pugno la Mini Minor su cui Cristina viaggiava con due amici, Carlo ed Emanuela.
E adesso Latella racconta come ottenne venti milioni di vecchie lire per rapire una studentessa di diciotto anni e consegnarla ai suoi carnefici. «Gente che non ho mai conosciuto. Non ho mai visto. E con cui non ho mai avuto rapporti», dice il rapitore tradito da un’impronta digitale dopo trentatré anni.
Latella non sapeva molto del colpo che doveva compiere. Las era del sequestro domandò chi fosse tra loro Cristina, la prelevò, legò gli altri due e sparì inghiottito in quel pozzo di tenebre dal quale la ragazza, che allora aveva soltanto diciotto anni, non riemerse mai più se non cadavere, dalla discarica di Varallino di Galliate, nel Novarese.
La novità rivoluzionaria è che a Latella la polizia è arrivata grazie a una minuscola impronta digitale, conservata in un angolo della memoria di un computer e che è stata a un volto, a un nome, anche grazie a una tecnologia che, nel frattempo, è cresciuta. Quella impronta fu impressa proprio da Latella sulla Mini di Cristina.

Sulle edizioni de "La Provincia" i verbali con il racconto di Latella, le testimonianze dell'epoca e alcuni particolari mai rivelati

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