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Mercoledì 07 Gennaio 2009
«Innamorarsi della vita
per superare la crisi»
Noi siamo ottimisti: parla Olivia Piro. La fondatrice de "Il Sole": «Credo nella forza del sorriso, nonostante tutto»
Se la crisi ti sbatte la porta in faccia, forse è perché è giunta l’ora di aprirne un’altra. Non ce la fa proprio a vedere il bicchiere mezzo vuoto, Olivia Piro. Fondatrice dell’associazione "Il Sole", Ong attiva nella cooperazione internazionale, e madre del progetto "Fiori che rinascono", occasione di riscatto per i minori vittime di violenze sessuali, Olivia Piro è una di quelle comasche incapaci di non sorridere. E di non pensare con ottimismo. Il motivo? «Sono innamorata della vita. Io nella vita ci credo e credo che sia un’esperienza che vale la pena di vivere. Credo moltissimo nella capacità dell’essere umano di relazionarsi e di tirare fuori il meglio, anche se non sempre si vede subito. Sono sempre stata dell’idea che quando ti si chiude una porta, nella vita, te se ne apre un’altra e forse è anche migliore».
L’ottimismo nonostante tutto. Nonostante nei suoi viaggi, nelle sue missioni per seguire progetti di cooperazione, Olivia abbia abbracciato la sofferenza: «Affrontare l’attività che ho scelto è stato possibile perché quando mi sembrava di aver toccato il fondo della cattiveria, della miseria, dell’imbruttimento c’era sempre qualcosa che riscattava tutto questo. Con il passare del tempo l’essere riuscita a costruire qualcosa, a migliorare qualcosa, mi ha dato una carica nuova. Certo, mi sono dovuta costruire parecchie corazze. Mi sono morti bambini in braccio, e non riuscivo ad accettarlo. Riscontravo ingiustizie profonde che hanno dato il colpo di grazia alla mia fede in Dio e che mi hanno fatto rielaborare una filosofia nuova, cioè che se volevo raggiungere un obiettivo dovevo farlo con le mie forze, con la mia volontà senza fare appello ad altri, neppure a Dio. Sono io che dovevo impegnarmi per fare in modo che nel letto accanto a quel bimbo morto in braccio non ci fosse un altro lutto».
Missione possibile: sorridere. Ma dove lo si studia l’ottimismo? «Credo che io lo abbia imparato da mio padre. Ha sempre sorriso ed è capace di farlo ancora oggi nonostante i suoi dolori e i suoi problemi. Faceva l’imbianchino, era operaio. Lavorava, ma si impegnava anche fuori: faceva parte di un trio comico, il "Quadermol". Andavano a fare spettacoli negli orfanotrofi, al don Gnocchi di Inverigo ad esempio, per gli anziani, nelle comunità. Andavano gratuitamente e io li seguivo. Ricordo che mi diceva: "se impari a far ridere gli altri sarai sempre capace di tenere il sorriso anche per te stessa". La voglia di vivere penso sia nata da questo. Poi l’ottimismo viene naturale, se sai ridere».
Il valore dell’esperienza: «Ho avuto infanzia senza privazioni, ma neppure florida. Quello che ho imparato dai miei genitori è che comunque, pur nelle loro difficoltà, è possibile spendersi per gli altri con quel poco che si ha a disposizione. Un Natale di un anno di grande difficoltà, in cui o si mangiava o si compravano i regali per noi bambini, ricordo che mia madre aveva preso tutte le bambole che avevo e gli aveva rifatto tutti i vestiti. Quando la mattina di Natale ho trovato i giochi vecchi rivestiti a nuovo ricordo che i miei dicevano: “Gesù bambino vi ha fatto un bello scherzo, forse avrà ritenuto che qualcun altro aveva più bisogno di voi e quindi ha rimesso a nuovo ciò che già avevate”. Per noi è stato comunque un bellissimo Natale».
Credere nel bicchiere mezzo pieno a dispetto della crisi. Vale anche per Como? «La nostra è una città molto particolare. Io credo però che la sfida sia interessante, anche se difficile: cambiare completamente il modo con cui è stata gestita Como fino adesso. Dando più spazio alle donne, che credo che nella nostra città ne abbiano avuto molto poco; le donne, nei momenti di crisi, hanno la capacità di vedere oltre. Nei Paesi in via di sviluppo si investe molto sulle donne, perché hanno questa capacità di riaprire le porte. Qui sarebbe utile creare opportunità di questo tipo e creare opportunità anche per i giovani, ce ne sono tanti che di cose interessanti da dire alla città ne hanno, ma di spazi ce ne sono pochi. Questa crisi può essere un’opportunità di ripensare una città finora costruita e basata su un certo tipo di business, legato al tessile. Questo è il momento in cui penso possa esserci spazio per tutti. Non sono dell’idea che bisogna spendere e consumare perché solo questo può rimetterci sui binari, io penso che ci sia soprattutto bisogno di rivedere gli stili di vita, che siano più rispettosi nei confronti degli altri, nei confronti dell’ambiente... ci vuole coraggio. Ma se siamo arrivati a questo punto è perché è giunta l’ora di dare la possibilità al nuovo di venire avanti lasciandosi alle spalle il vecchio». Ci vuole coraggio. Ma un sorriso vale sempre lo sforzo.
Paolo Moretti
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