Missoni, tra sport e righe
La vita sul filo di lana

L'imprenditore oggi a Como a presentare la sua biografia si racconta tra aneddoti e gioia di vivere

Carla Colmegna
Ottavio e Rosita Missoni, due nomi, un legame a "doppio filo" che non si smaglia. Ottavio senza Rosita non sarebbe il Missoni che è. Lo dice lui, che oggi, a 90 anni compiuti, si è ritirato dal lavoro e ha scritto un libro. Rosita invece, a 80 anni, è a capo della Missoni casa e segue gli hotel Missoni nel mondo.
Ottavio Missoni, oggi alle 20.30 sarà ospite a Como, nella sala conferenze di Confindustria, per presentare il suo "Una vita sul fil di lana" (Rizzoli, 162 pag., 17,50 euro) scritto con il giornalista Paolo Scandaletti.
Signor Missoni, perché "Una vita sul fil di lana"?
Il libro s'intitola così perché volevo già farne uno col Brera (Gianni, nda) che l'aveva intitolato "Sul filo di lana", ma lui è morto e allora ho voluto tenere qualcosa di quel progetto. Sul filo di lana ricorda la corsa in pista, una volta c'era un filo di lana come traguardo.
Di traguardi lei se ne intende: lo sport ad altissimi livelli, lo spettacolo come modello di fotoromanzi, la guerra a El Alamein, le sfide vinte da imprenditore. Cosa ha imparato da queste esperienze?
La guerra? Non esageriamo, a El Alamein ero ospite di Sua Maestà britannica, come la racconto io sembra una vacanza al Méditarranée, in realtà si stava dentro un filo spinato anche se gli inglesi sono stati corretti. In prigionia impari ad annusare il prossimo. Non ci sono regole, ma capisci che noi siamo tanti branchi leopardi, leoni, zebre (non gli juventini eh, io sono milanista) e impariamo con quali stiamo bene. E poi, i miei passatempi sono sempre stati leggere e dormire, lì avevo tutto il tempo farlo. Non auguro a nessuno questa esperienza, ma mi è tornata utile nella vita.
Lo sport. Ne ho fatto molto (ostacolista alle Olimpiadi di Londra del 1948, giocatore di basket, due ori ed un argento nella categoria Over 90 di lancio del peso, giavellotto e disco, nda) e mi ha insegnato a considerare la sofferenza e la fatica per arrivare al traguardo.
A 90 anni quali sono i suoi ricordi più cari e divertenti?
Non lo so, io e Rosita non abbiamo mai programmato le giornate, solo gli abbonamenti teatrali (ride). Io ho sempre vissuto alla giornata senza creare mai grandi eventi, di momenti sereni ne ho vissuti un'infinità con gli amici, anche di recente. Ad esempio, mi piaceva andare a teatro e ho visto nascere il Piccolo di Milano, conoscevo il fondatore Paolo Grassi, allora critico teatrale dell'"Avanti", mi dava i biglietti gratis. Erano gli anni Quaranta.
Sul lavoro invece, non ho mai voluto creare un impero e ancora oggi che l'azienda la guidano i miei tre figli e la Rosita se ne occupa un po', insisto perché conservi la sua vocazione artigianale. Non ho mai puntato alle grandi cifre, non sono capace di guidare le navi grandi.
Modesto, ma la sua "bottega artigiana" ora è enorme. Come l'ha cresciuta?
Un amico, Giorgio, aveva una maglieria, era il 1947 e mi ha chiesto di mettermi in società con lui, sulla carta intestata scrivemmo VenJulia, in omaggio alle mie origini dalmate. Poi però ho detto a Giorgio «ma semo due presidenti e chi s'è che lavora?». (Missoni perdonerà il modo sbagliato di scrivere nel suo dialetto, nda)
E chi lavorava?
Prima il cugino di Giorgio e poi, nel 1953 ho sposato la Rosita e lavorava lei!
Sarà stata felice. Come l'ha convinta a lavorare per lei?
Io gareggiavo per la Gallaratese, la Rosita è di Golasecca e così ci siamo incontrati. Un giorno abbiamo deciso di sposarci e abbiamo preso un appartamento a Gallarate: cento metri sopra per vivere e cento sotto per lavorare con quattro, cinque lavoranti e le macchine per la maglia. Abbiamo cominciato così. Era la Rosita che lavorava e non si è mai lamentata, anche oggi ha molta cura di me. La Rosita ha avuto il merito di farmi lavorare e le assicuro che non è facile, la mia passione è dormire e leggere. Mia mamma non mi ha mai mandato a scuola per non svegliarmi la mattina. Ho imparato da solo a leggere e non ho mai smesso. Leggo un po' di tutto. Quando le amiche portavano a mia mamma i ritagli dei giornali che celebravano i nostri successi lei, con la serenità che l'ha sempre distinta, rispondeva senza leggerli: «ma mi so che il mio Ottavio el s'è il più bravo di tutti in tutto, basta se lu vol».
Lei la fa facile, ma come ha sfondato, come le è venuta l'idea delle righe?
Non si sa da dove è nato il motivo della nostra maglia, io penso dalla curiosità e dall'esperienza. Abbiamo creato qualcosa che per il tempo era nuovo, per materiali, seta, cotone, rayon e colori. Gli americani hanno battezzato il nostro stile "put together", metti insieme, forse la nostra maglia piace perché la interpretiamo in vari modi. Anche i pastori sono vestiti in "put togeghter" e in loro non stona niente. Ma non abbiamo inventato niente. Pensi che
c'era un architetto milanese, Zanuso, un volta si lamentava con me che apprezzavo una penna che aveva creato: «pensa che sono 20 anni che me la copiano tutti» mi disse, e io a lui «Pensa che sono più duemila anni che quelli delle Ande mi copiano e i faraoni lo fanno da tremila anni». Inventare? Dicevano che eravamo famosi per le righe, sa perché le facevamo?
No, perché?
Perché avevamo le macchine che facevano solo righe e pensi quante cose si possono fare con le righe, con i colori è lo stesso. I grandi artisti si ispirano alla natura io mi ispiro ai grandi artisti e prendo la scorciatoia. Comunque, per imparare un mestiere servono almeno 10 anni e dopo non è detto che lo sai già fare bene.
Ha mai fatto politica? Cosa pensa di quella italiana e della crisi che viviamo?
Eh, non mi faccia questa domanda. A lei piace la politica?
No, quella di oggi no.
Ecco, allora la penso come lei.
Non mi piace. A volte voto scheda bianca, l'ultimo voto l'ho dato a La Malfa, ai repubblicani. Io romanticamente sono anarchico a carattere liberale di tipo individuale.
Cioè, libero.
Diciamo che non mi piace essere comandato e comandare, anche in azienda non mi piaceva comandare, cercavo sempre di andare d'accordo. Quando i miei tra figli hanno voluto entrare in azienda io non volevo. Così ho detto loro: ok, fate voi, ma a patto che andiate d'accordo, se no vendiamo tutto.
E vanno d'accordo?
Sì, abbastanza.
Torniamo alla crisi, che ne pensa?
Non c'è scampo, non leggo neanche i giornali perché mi angoscio. Una volta avevo dato un suggerimento a un giornalista, titolare gli articoli con i titoli dei libri di Pirandello, tipo: così è se vi pare, come tu mi vuoi, il piacere dell'onestà, funzionano sempre. Sui giornali mi piace leggere gli articoli di Gianni Mura e Claudio Magris, ma Magris è troppo difficile. È mio amico e gli ho detto, «ti ho messo vicino all'Ulisse di Joyce, che tutti hanno e nessuno legge».
A 90 anni, pieni di successo, come ci si sente?
Ma, dai, sono contento. Ho amici, casa, moglie, figli e nipoti, ma non ho più la voglia di fare le cose che avevo una volta.
Però gira ancora il mondo.
Sì, qualche giorno fa mi hanno portato fino a Beverly Hills per un premio alla famiglia Missoni, ma non so bene perché cacchio lo danno. È stato bello, c'era anche il musicista Quincy Jones, dev'essere famoso. Ho partecipato a tanti party, ma per dovere. Non so nemmeno l'inglese. Però ho imparato che ai party basta dire anyway, may be, really e sometime.

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