Non è giusto lasciarci
in balìa dei ladri

La risposta più sensata da offrire a quanti in questi giorni si interrogano, spaventati, sulle ragioni dell’impressionante escalation di furti in casa registrata nelle nostre città, è una sola. E cioè che rubare conviene.

Lo dicono le statistiche: un confronto tra il numero dei detenuti condannati e il totale delle denunce sporte nell’anno solare, dimostra che su cento irruzioni nelle nostre abitazioni, siano esse villoni con l’eliporto o scalcinate gargotte (ormai nessuno è immune), di una soltanto sarà rintracciato il colpevole.

Nel 2014 in galera sono finite 3600 persone: peccato che le denunce fossero state 251mila. L’ultima statistica ufficiale Istat risale al 2013, quando fu individuato soltanto il 2,9% degli autori di un furto, la maggior parte peraltro denunciata soltanto a piede libero.

Che succede in Italia? E soprattutto perché individuare chi ruba è diventato così difficile?

Oggi quello del saccheggio è un business ineguagliabile. Bastano un minimo di scaltrezza, udito fine, un po’ di impegno sul fronte dell’aggiornamento professionale (finestre, infissi, porte blindate, casseforti) per ottenere il massimo risultato, esentasse, con il minimo sforzo. E soprattutto senza rischi.

Le pene previste dal codice sono ridicole: si rischiano dai due ai sei anni di detenzione, ma per rimediarne sei occorre essere un collezionista di condanne che, diversamente, i tribunali non possono esimersi dall’applicare sentenze ben al di sotto della soglia della cosiddetta sospensione condizionale. In altre parole: non ti prendono mai, e quand’anche ti prendessero finiresti davanti a un giudice con la fedina penale di un cherubino, la conseguente certezza di rimediare una condanna simbolica e quella altrettanto granitica di poter ricominciare entro sera.

Alcuni mesi fa si parlava dell’eventualità di innalzare il massimo della pena cosiddetta “edittale” da sei a otto anni, limitando il numero dei casi di condanna che si collocassero nei limiti della condizionale. Non se n’è saputo più nulla. Tanto più che le nostre carceri, poche e malandate, traboccano di delinquenti condannati per tutt’altri reati e di innocenti (fino a prova contraria) in attesa di giudizio, con l’unico risultato di una sonora cazziata da parte dell’Ue, di una maxi multa e di un provvedimento di alleggerimento della “pressione”, il cosiddetto svuota carceri, imposto dai soliti amici di Bruxelles: tutti fuori, nessuno dentro.

Intanto, nei Paesi dell’est europeo, quelli dai quali - statistiche alla mano - arrivano i massimi esperti del ramo, la nostra Italia è diventata quasi proverbiale: vuoi rubare? Vacci, ché se anche ti acchiappano, dopo un paio d’ore d’udienza sei fuori di nuovo. A poliziotti e carabinieri - che davvero non ne possono più - prudono le mani. Così come prudono a tanti giudici che si rendono ben conto della situazione, ma che purtroppo sono pagati per applicare le leggi e non per discuterle. Non va meglio sul fronte delle indagini. Fino a qualche anno fa, prima che il bubbone assumesse proporzioni tanto pestilenziali, si diceva che le forze dell’ordine avrebbero potuto fare di più. Lo fecero: il rilevamento delle impronte digitali - almeno nei casi in cui le circostanze lo permettano - è diventato prassi consolidata, anche se ormai non serve più a niente. Non uno dei delinquenti che vi entrano in casa, neppure gli zingari, neppure quelli minorenni spediti al “lavoro” da papà agisce più a mani nude.

E allora? E allora non c’è soluzione. Compratevi l’antifurto - è la risposta -, compratevi un bell’impianto di video sorveglianza e le sbarre per le finestre, come se poi non pagassimo già abbastanza tasse. E pregate soprattutto che non tocchi a voi. Il furto in casa, da un punto di vista psicologico, è una vera iattura. Niente, dopo averlo subito, sarà più come prima. Là fuori, invece, resterà tutto uguale.

[email protected]

stf_fer

© RIPRODUZIONE RISERVATA