«Sant’Anna, conta il budget
Non conta il paziente»

La denuncia del cappellano padre Merlo: «No all’ospedale come un’azienda. Ho visto divise con scritto “Non rivolgetevi a me”»

Tutti ne parlano, nessuno lo dice. A rompere il silenzio, adesso, è il cappellano del Sant’Anna, padre Carlo Merlo. È lui a mettere in discussione, pubblicamente, il modello di “ospedale-azienda”. Non per questioni di principio, ma per le conseguenze concrete di questa organizzazione. Effetti che padre Carlo vede tutti i giorni con i suoi occhi, visitando i malati al nuovo Sant’Anna. Ne raccoglie le valutazioni, i commenti e le critiche. Si è fatto un’idea molto chiara dei problemi. Il suo pensiero si può sintetizzare così: altro che centralità della persona, al primo posto c’è il budget, la necessità di far quadrare i conti. I medici, quindi, sono sempre più imbrigliati: devono rispettare tabelle, budget, giorni di ricovero e altro ancora. Esattamente come si fa in un’azienda. Ma un ospedale si prende cura di persone, non produce bulloni, sembrava voler dire il sacerdote quando ha chiesto la parola alzandosi dalla sua poltrona in platea.

L’occasione è stata l’incontro pubblico, nel salone del Don Guanella, proposto pochi giorni fa dall’Ordine dei medici. Una serata pensata per discutere del rapporto tra medico e paziente. Tra i relatori, insieme al presidente dell’Ordine Gianluigi Spata c’erano il primario di Oncologia Monica Giordano, il medico di famiglia Marco Fini e la psicologa Alessandra Longeri.

«Come prete - ha detto padre Carlo dopo aver chiesto la parola - vorrei soffermarmi su un peccato veniale e uno mortale. Il peccato veniale è quella pettorina rossa, tipo operatori stradali, che per mesi hanno portato alcuni infermieri, con scritto “Non rivolgetevi a me, sto somministrando farmaci”. Per un verso può servire perché gli infermieri sono pochi e non devono distrarsi altrimenti combinano guai, ma è certamente un modo non corretto per risolvere il problema. Va contro la buona relazione con il paziente. Parliamo dell’importanza di questo aspetto,poi però facciamo scelte sbagliate».

«Il peccato mortale è l’impostazione di ospedale come azienda. A nessuno va bene, però continuiamo così, come se fosse un dogma. È stato preso come un concetto assoluto in questi anni, a cui sacrificare tutto: il malato, i suoi parenti, i lavoratori. Siamo al punto che i medici si ritrovano ingabbiati negli orari, nel minutaggio, un tot di minuti a testa. Nei reparti con gli anziani, dieci giorni di ricovero al massimo, non di più. Perché se no... Ecco, allora è chiaro che il problema etico è quello dell’umanizzazione. La domanda è: si può procedere con l’umanizzazione quando è stata fatta questa scelta dell’ospedale come azienda? Il prodotto che abbiamo davanti è il malato, siamo tutti d’accordo, credo. Per adesso, però, il prodotto che viene considerato è il budget economico».

Il ragionamento del cappellano del Sant’Anna si è concluso idealmente con le parole del suo vicino di posto, in platea. Ha ricordato che nel suo testamento spirituale il professor Mario Campanacci, luminare di Bologna nella cura dell’osteosarcoma ha scolpito tre frasi: centralità del malato, gioco di squadra, apertura agli orizzonti internazionali.

Poi un’ultima citazione; fuori dall’ospedale San Giacomo di Roma il medico Augusto Murri ha scritto questa frase: vieni per essere guarito, se non guarito almeno curato, se non curato almeno consolato.

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