Tra ira e perdono
nel giorno della memoria

Nella chiesa di San Fedele, a Como, la "prima" della cantata "Giorno d'ira" dell'editore comasco Gerardo Monizza

Il 20 novembre, nella chiesa San Fedele a Como, alle ore 21, verrà eseguita la cantata «Giorno d’ira» di Gerardo Monizza, dedicata alle vittime delle stragi (ingresso libero, con prenotazione: 031.24.3113), interpretata dal coro Hildegard von Bingen, diretto da Tiziana Fumagalli. Ecco un’anticipazione.

di Gerardo Monizza

Giorno d’ira. Giorno d’ira è quello in cui tutto è stato ridotto in brace polverosa e ossa innocenti sono esplose e la carne si è dissolta nelle fiamme; carne di morte odorosa. Giorno d’ira e di dolore e di paura. Senza stupore: perché ogni cosa era stata scritta e detta, gridata dai sapienti e dai profeti, inascoltati cantori del terrore. Gli assassini non hanno temuto di essere giudicati né dagli uomini né da Dio e neppure le vittime incoscienti hanno mostrato spavento nell’attimo in cui tutto si è rapidamente consumato: tanto è stato il frastuono che si è creato, dentro lo spazio troppo angusto, sconquassato, dal terribile rumore. Veloce è stato il lampo del tritolo; tremendo e orribile il boato. Molti sono morti alla stazione, altri nei punti più lontani del mondo, come anonimi obbiettivi senza alcuna selezione. Erano donne gioiose, uomini indaffarati, vecchi pensierosi, giovani spensierati, bambini allegri e rumorosi. Hanno detto che siamo morti come eroi valorosi, ma eravamo donne, uomini e bambini neanche coraggiosi. Eravamo esseri normali: senza meriti speciali, né colpe per i nostri gesti quotidiani, abituali. Le nostre ceneri sparse non hanno coperto il malessere del mondo che ancora brucia e fatica ad essere spento. Siamo svaniti in dieci, cinquanta, cento e ormai il totale non sta neanche sulle ipocrite lapidi di cemento. I nostri nomi sono fatalmente trascurati, le nostre morti ignorate, le nostre esistenze - passeggere - dimenticate. La morte e la vita si sono per noi confuse e amalgamate, ma noi non volevamo troppo presto volare tra le anime beate; volevamo esistere, soffrire e lavorare, amare e anche morire, nel tempo giusto che la vita sa offrire. Siamo morti per un caso, un disguido, un accidente e così la nostra vita ha preso - un sabato mattina - l’esatto valore di niente. Nel libro misterioso del tempo sta forse scritto che noi - dopo essere stati massacrati - saremo anche giudicati per i nostri piccoli umanissimi reati e loro - gli assassini - saranno compresi, capiti, abbracciati magari giustificati e - infine - perdonati? È tale il sollievo per i morti ammazzati?

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Eco di Bergamo Giorno d'ira