"Sulla strada" di De Gregori
che rivaleggia con Guccini

Il nuovo album del cantautore romano in lotta con la nuova uscita del più anziano collega modenese

COMO La "cura Lucio Dalla" sembra avere fatto bene a Francesco De Gregori e forse l'ultima buona azione del compianto artista bolognese è stata quella, quasi miracolosa, di rasserenare l'orso romano, così poco incline a divertirsi nei concerti, o almeno così sembrava al "pubblico pagante" che, spesso, si sentiva quasi in imbarazzo, come se disturbasse il personaggio, "per brevità definito artista", perso nelle sue rielaborazioni.
Il Francesco "post Work in progress", invece, anche sulla scena è apparso sereno, perfino divertito quando inchinandosi con ironica deferenza a chi lo applaudiva mentre intonava la sua canzone più celebre indugiava sul concetto di "farli rimanere buoni amici, come noi".
Benissimo, se assistere a un concerto dell'autore de "La storia" non è più una brutta storia fatta di umoralità, ma una festa per celebrare quarant'anni di canzoni (ascoltare per credere l'eccellente "Pubs & clubs"), De Gregori era atteso alla prova dell'album di studio.
"Sulla strada" è arrivato a pochi giorni da "L'ultima Thule", nuovo, forse anche estremo disco dell'altro Francesco, Guccini. E qui scatta un altro paradosso: il romano rischia quasi di passare inosservato visto che, tra live, raccolte e produzione inedita, è sul mercato pressoché ininterrottamente mentre il modenese, che non dava segni di vitalità musicale da quasi dieci anni, cattura tutte le attenzioni quale che sia il risultato.
Tra i due ci sono quasi undici anni di differenza ma, visti dalla prospettiva del 2012, sembrano appartenere alla stessa epoca.
Strano, quasi, che Guccini che arriva dal beat, dal folk americano, da quel Bob Dylan conosciuto quasi in tempo reale si sia, man mano, allontanato da quelle suggestioni per cercare forme musicali più personali anche se, come accade ora, preferisce ad affidarsi ai suoi musicisti per la parte musicale.
In questo senso, De Gregori, continua a essere un artigiano (sicuramente non un piccolo artigiano) della canzone d'autore: scrive, cesella, lima di buona lena e quando sente di avere accumulato brani a sufficienza ecco un nuovo lavoro.
Se è vero che non si ferma mai, è altrettanto vero che una raccolta di inediti mancava da quattro anni. In questi quattro anni, come ricordato, ha passato la boa del sessantesimo compleanno, ha ritrovato Dalla con cui il rapporto, ha detto, è stato molto più amichevole e divertente di quanto non lo fosse ai tempi di "Banana republic", solo per vederselo strappare da una sorte imprevedibile.
Come proseguire? "C'è solo la strada", cantava un altro illustre scomparso e De Gregori, evidentemente, è d'accordo. "Deve essere strada", canta nella trascinante canzone d'apertura, che guarda al Jackson Browne a sua volta "on the road" di "Running on empty".
E Dylan? C'è, c'è: "A passo d'uomo" con il suo incedere quasi sacro, con il ruo ritratto di un piccolo essere umano potrebbe appartenere a "Modern times" (il disco dei sessant'anni del Bob).
 Dopo il divertissement di "Belle époque" arriva uno dei pezzi forti, fin dal titolo: "Omero al Cantagiro".
Proprio lui, proprio quello dell'"Odissea", proprio quello di cui la figlia del dottore, che è una maestrina, conosce a memoria tutti i "libbri", con il pubblico che gli chiede "cantaci una canzone".
Evidentemente, anche per l'aedo è "Showtime", tempo di andare in scena, a tempo di valzer.
Dylan? "Guarda che non sono io" è una ballad figlia, tanti anni dopo, di "It ain't me baby", ma Bob era un bastardo, a Francesco non ci si crede.
"Ragazza del '95" vede, è la seconda volta, la presenza di Malika Ayane.
Chiusura con un "Falso movimento" che riapre i giochi: uno dei De Gregori più godibili di sempre.

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