Abass, e quella favola
cominciata in un cortile

Il capitano dell’Acqua Vitasnella Cantù deve dire grazie a un’intuizione di Di Landri e dell’Antoniana Como

Di Landri e l’Antoniana. Se non fosse stato per loro, forse Abass non sarebbe arrivato dove è oggi (senza nulla togliere a chi ci ha lavorato dopo). Il primo ad accorgersi di lui fu Max Di Landri, da sempre allenatore del Tavernerio. Anche perché abitavano nello stesso condominio. La famiglia Awudu Abass si era trasferita da Navedano a Camerlata. Il figlio nacque nel vecchio Sant’Anna, e prese il nome del padre, Abass.

«Quando questo bambino scendeva in garage - racconta Di Landri - passava sotto il mio balcone. Allora mettevo un vaso e gli dicevo: tira la palla qua dentro. Chiesi ai loro genitori se volessero farlo giocare a basket da me a Tavernerio. Aveva 6 anni. Fece una stagione e nel tragitto d’andata lo portavo io. Poi passò di categoria».

Entra così in scena l’Antoniana Como. Che era a due passi da casa, al palazzetto di Muggiò. Cinque anni di minibasket fondamentali per capire che aveva la stoffa del campione. Per quattro anni lo allenò Andrea Luzi, ora uscito dal giro. «Aveva una capacità di leggere il gioco, che sembrava uno sciatore mentre gli altri erano i paletti - ricorda Luzi -. Ma prima che un ottimo atleta e giocatore, era ed è una bravissima persona. Si vedeva che era cresciuto in una casa con degli ideali. Si allenava anche con i più grandi e si prendeva anche cura del fratello Samir. Lavorai un po’ per migliorargli la mano sinistra. Non si poteva immaginare dove sarebbe arrivato, ma siccome era bravo e soprattutto con determinate caratteristiche umane, si capiva che avrebbe fatto carriera».

Ultimo anno negli Esordienti di Stefano Rossi (anche oggi allenatore Antoniana). Con quella “famosa” premiazione da predestinato: a 11 anni al Pianella con il capitano Dan Gay. «Alla festa di Natale del 2004 - dice Rossi -. Fecero una maxi gara fra 300 bambini. Lui, devastante in campo aperto, vinse il primo posto, un orologio, premiato da Gay. Ricordo quando in allenamento si appendeva al ferro, o una partita minibasket vinta dopo un suo canestro da metà campo, o quella volta contro Cantù che da -30 ci portò a -2. Era nettamente il più forte. C’erano interi quintetti che gli giocavano contro. Ma era anche uno generoso: non solo quello che ti faceva vincere, ma che passava la palla ai compagni meno bravi per farli segnare. Oltre al fisico infatti aveva la mentalità. Con i piedi per terra, non si è mai montato la testa, grazie alla famiglia e forse un po’ all’Antoniana. Oggi bastano 50 “mi piace” su facebook e uno si esalta. Lui invece era umile allora, come adesso da capitano di Cantù».

Lo volevano Pallacanestro.Como (che faceva la B2) e Cantù. Oggi le società si fanno la guerra sui giovani. Allora invece il presidente Armando Clerici e il dirigente Romeo Bianchi si accordarono bonariamente. Tre abbonamenti di serie A in omaggio (girati ai ragazzini che arbitravano) che avrebbero dovuto essere per sempre. L’Antoniana tesserandolo il primo anno giovanile avrebbe potuto vivere di rendita, «ma non abbiamo mai fatto problemi per nessuno».

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