Amarcord Binotto: «A Cantù
i tre anni più belli della carriera»

La guardia degli anni d’oro Polti: «Che brividi la prima volta al Pianella. Possiamo farti solo un annuale, dissero: era già un sogno. Ormai da tempo dirigo la sede locale di un calzaturificio»

Aveva alle spalle sette stagioni alla Reyer Venezia. Insomma, una certa esperienza se l’era fatta. Eppure. «Eppure, quell’estate in cui misi piede per la prima volta al Pianella era come se mi sentissi un bambino alle prime armi. Venivo dall’A2 e, in fondo, in A2 avrei continuato a giocare pur cambiando squadra. Ma Cantù non poteva essere una squadra qualunque e quel palazzetto trasudava di storia. Quello fu il mio primo vero grande traguardo della carriera. Entrai a Cucciago in occasione della presentazione il giorno del raduno. Entrai consapevole, ma una volta dentro sgranai comunque gli occhi perché ancora non ci credevo. Per me tutto ciò era totalmente impensabile soltanto poco tempo prima».

Era l’estate del 1995 quando Franco Binotto iniziava la sua avventura canturina che si sarebbe protratta per tre stagioni. La Polti aveva appena fallito l’immediato ritorno in A1 - condannata dall’ormai famosa tripla di Capone in gara-5 di finale che decretò la promozione di Arese e la condanna di Cantù a un ulteriore anno di purgatorio - e così, tra gli altri, aveva chiamato a sé anche questa guardia trevigiana di Montebelluna che il mese prima festeggiava le 25 primavere. «Avevo scelto di lasciare la squadra del mio paese a 18 anni per andare a provare a Venezia che stava puntando sui giovani. Sin lì avevo al massimo frequentato la serie B in un paio di campionati. Fu Drazen Dalipagic a segnalarmi a Frank Vitucci, a quel tempo allenatore delle giovanili della Reyer». Ancora oggi, per dire, Binotto è nella top ten assoluta dei giocatori con il maggior numero di minuti in campo con la maglia orogranata. E, sempre per dire, soltanto pochi mesi prima di approdare in Brianza - era febbraio - a Fabriano in un match vinto da Venezia 91-81, Binotto realizzò 50 punti (12/17 da 2, 4/11 da 3, 14/15 ai liberi) e il Reyer Club San Bortolomio donò al giocatore una forcola-premio a ricordo dell’evento. Quella stagione la chiuse a 23.1 punti di media a partita.

«Ma Cantù era comunque un’altra cosa... Quando il gm Corsolini e coach Sacco mi chiamarono non mi sembrava vero. E il dirigente Marzorati mi disse onestamente che potevano farmi soltanto un anno di contratto, ma che se poi avessi martellato il canestro... Mi sembrava già un sogno iniziare con un anno! Quelle tre stagioni me le sono godute tutte al massimo e hanno rappresentato il periodo più bello della mia carriera anche perché il gruppo era stupendo. Che bei ricordi ho in particolare con Lupo (Rossini, ndr), Eros (Buratti, ndr) e Zorro (Zorzolo, ndr)».

Ma che giocatore è stato il Binotto della Polti? «Premesso che non avevo un gran talento, giocavo principalmente sugli scarichi di due playmaker intelligenti quali Rossini e Buratti che mi mettevano nelle condizioni migliori per tirare. A Venezia ero per certi versi un giocatore più completo, ma a Cantù, con tanti compagni bravi, dovevo ritagliarmi un ruolo più da specialista. Non eccellevo in nulla e se dovessi darmi un voto direi che sono stato uno tra il 6 e il 7. Senza infamia e senza lode».

Con il subentro in panchina di Lombardi, la vostra fu una fantastica cavalcata verso la A1. «“Dado” giunse a sostituire Sacco e mise subito le cose in chiaro. “Non ci sono più minuti per tutti come accaduto sinora - disse - perché ora si va con questi cinque giocatori”. In effetti da quel momento si giocò in sei e io che ero il primo cambio degli esterni trovai parecchio spazio perché lui amava l’assetto con i quattro piccoli. Tanto poi c’era un totem come Bailey là sotto canestro a sistemare tutto... Fu quella la nostra fortuna».

Binotto lasciò Cantù nel ’98: un paio di stagioni a Reggio Calabria accanto al giovane Manu Ginobili, un altro paio (o quasi) a Napoli, indi a Ferrara dove chiuse la carriera in serie A. «Dopo due annate a Siena in B1, sono tornato ad avvicinarmi casa, accontentandomi di giocare nelle serie minori perché intanto cominciavo a guardarmi intorno pensando a come iniziare una nuova vita al di fuori della pallacanestro. Ecco allora quattro anni da impiegato prima della svolta: un’azienda svizzera che produce scarpe apriva una sede a Montebelluna e cercava a dirigere uno del posto. Una conoscenza in comune favorì le mie credenziali e così ormai da dieci anni occupo quel ruolo. Nel frattempo avevo iniziato ad allenare i ragazzi a Valdobbiadene con i quali siamo approdati in serie D. Ma ora penso di dire basta, gli stimoli si sono esauriti».

Binotto sbarcò a Cantù da fresco sposo e con una bimba di un mese. «Ora Anna ha 25 anni e io sto sempre con mia moglie Marina. Abbiamo anche un figlio, Francesco, di 16 anni. E poi c’è Garuna, una femmina di dogo argentino per la quale stravedo».

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