C’è il ritorno di “Ai lov dis gheim”
La versione di Gianni (Corsolini)

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Eravamo abituati a guardare le statistiche delle partite di basket, adesso aspettiamo il dato giornaliero sui contagi: sempre di numeri si tratta, ma sono la fotografia del momento che stiamo vivendo. Di partite neanche l’ombra, anche se è in arrivo una Supercoppa triste, senza pubblico, il coronavirus invece è ancora qui, anche se la gente pensa che le vacanze siano una specie di vaccino.

Così trovo giusto ringraziare ancora i benemeriti di Cantù che mi hanno voluto tra loro, anche perché la nomina è venuta da un mio ex giocatore, Claudio Galbiati, il padre dell’attuale sindaco. Voglio dire, ho sempre lavorato per costruire qualcosa sulla collaborazione di tutti, e il primo messaggio è sempre stato chiaro: bisogna svolgere ogni attività, gioco, studio o lavoro che sia, con passione.

Oggi la passione non c’è, forse, si spera, sopravvive sotto traccia.Ma come facciamo ad affrontare se non superare il coronavirus con questo sonno, perdurante, di federazione e Lega? Nemmeno si accorgono che il basket è sparito dai giornali, lo spazio se l’è preso tutto l’Nba che pure ha gli stessi problemi da affrontare, e soluzioni che ci riguarderanno da vicino se cambiando i calendari e le Nazionali non avranno a disposizione nella prossima estate, comunque lontana, i migliori giocatori per giocare le qualificazioni preolimpiche prima e l’eventuale torneo olimpico poi. Ci manca tanto un piano. Ci manca, soprattutto, la capacità di pensare un piano B, la lucidità di fotografare una situazione e ogni suo possibile sviluppo.

Come detto siamo alla vigilia della Supercoppa, ma questo sembra il solo orizzonte certo: della ripresa del campionato col pubblico anche a distanza non si parla più.

Cosa vuol dire parlare di basket ? Davvero il basket finisce in campo ? Ci sono, per fare un esempio, fior di libri che parlano di basket, scritti alcuni dagli stessi giocatori, e noi abbiamo una nostra giocatrice, Gepi Cucciari, che in tv parla proprio di questo. Possibile che a nessuno venga in mente un gioco di squadra per parlare, con lei e grazie a lei, di più e meglio di basket? Possibile che non capiamo che è necessario allargare il campo in un momento come questo per dare un senso, altro che risparmi fiscali sulle sponsorizzazioni, agli investimenti di proprietari e sponsor? Senza pubblico, come facciamo a sopravvivere? Non è semplicemente una questione di incassi.

Mi sembra che succeda quello che mi è capitato nei giorni scorsi seguendo Salvini in tv. Per una volta ero d’accordo con lui, l’argomento era la scuola, anche se Salvini si fermava all’analisi del contenitore, l’edificio scuola, mentre io sono molto più preoccupato dei programmi scolastici, ovvero del contenuto. Il nostro basket si occupa, nemmeno bene a dire il vero, di contenitori. E lascia da parte il contenuto. Come a scuola non si insegna a sufficienza la storia, come se non cominciasse tutto da lì, in particolare dalla necessaria conoscenza della storia recente.

Come possiamo guadagnare un futuro per il basket se non riconosciamo il nostro presente e non conosciamo il nostro passato pur andando verso, mi dicono, una festa per i cinquanta anni della Lega Basket che sembra anacronistica, organizzato tra semifinali e finali di Supercoppa, senza pubblico, e senza un messaggio per il pubblico, la ricerca del solito rifugio autoreferenziale.

Non è l’osservazione di una persona in là con gli anni. La passione di cui parlavo in apertura non è una questione di età. Ho ricevuto nei giorni scorsi la visita dell’amico Enrico Dell’Acqua, che organizza gare ciclistiche per i trapiantati, quei trapiantati che per altri dovrebbero stare fermi a rimirare la fortuna che gli è capitata. Pensiero estivo:magari potessimo affidare il destino del nostro basket all’energia dei benemeriti e di un Dell’Acqua, molto più giovani di tanti dirigenti che pure per l’anagrafe sono dei ragazzini.n 
Gianni Corsolini

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